Invalsi/contro. Risorge il movimento? (con Harry Potter)

Trieste – Sui test invalsi si dice troppo e mai abbastanza.

Si dice troppo (in genere verso maggio) perché i media si riempiono di rubriche del tipo Invalsi questo sconosciuto e Le 10 cose che dovete sapere su…. E non si dirà mai abbastanza perché è un fenomeno che investe, anno dopo anno, una parte esigua della popolazione scolastica: poco più di due milioni di studenti con relative famiglie. Oltre a questi, “soltanto” gli insegnanti di italiano e matematica.

Rimane una prova che pochi per volta sperimentano di persona. E quindi rimane estranea alla maggior parte della popolazione. Soprattutto alla popolazione non scolastica, che non saprà mai – a fondo – cosa sono i test Invalsi e quali conseguenze implicheranno, nel lungo periodo, per la scuola e quindi nella società.

Per non venire meno alla tradizione del maggio invalsi, anche noi abbiamo profuso qualche spiegazione, preso posizione (contraria) e discusso il ruolo umiliato dei docenti. Si è detto come il fine dell’invalsi sia quello di creare una scuola dipendente da criteri aziendalisti e imprenditoriali. Ma ora il fenomeno prende una piega che vale la pena indagare.

Perché, con la complicità dei social media, si verifica un riverbero immediato su come i test – o quiz, come sono spregiatamente definiti – vengono accolti e vengono svolti.

Che una notevole parte di insegnanti e genitori vi si opponga è un dato risaputo e confinato nei social forum e periodici più o meno cartacei, dove le discussioni su cause, fini, modi e intenti delle prove Invalsi sono abbondanti e articolate di pro e contro.

Ma è sufficiente digitare #invalsi2017 su facebook o su twitter per toccare con mano come i diretti e principali interessati – gli studenti – reagiscano ai “quiz”. E si nota che reagiscono alla maniera degli adolescenti, in modo centrifugo, immediato, canzonatorio, polemico, satirico.

Soltanto il fatto che la rete sia inondata di fotografie delle prove mentre vengono svolte, (con relativi motti di spirito più o meno salaci) è la testimonianza lampante che il divieto di tenere i cellulari in classe è ampiamente disatteso e sbeffeggiato. E allora giù frizzi, frecciate e paradossi per mettere in ridicolo le richieste.

Quindi viene da chiedersi: perché – in percentuale che varia di anno in anno – gli studenti non vogliono prendere sul serio questi test? Perché vi si oppongono in modo coperto, non manifestando nelle strade e nelle piazze con banchetti e striscioni come qualche anno fa, ma ridicolizzandoli nei social media con le foto prese di nascosto e poi twittate e postate?

Sul mezzo c’è poco da discutere. Il “movimento” langue, i rari cortei sono sparuti e smagriti, di slogan se ne sentono sempre meno. Ma la rete..! La rete si riempie di contestatori e ribelli.

La contestazione muore nelle strade e risorge trasversalmente in internet. Perché, evidentemente, se la politica non riesce più ad appassionare la gioventù studentesca (e non le si può rimproverare più che tanto…) per lo meno rimane viva l’opposizione a un modo di fare scuola che evidentemente non piace, a una maniera di saggiare la preparazione che gli studenti (ma non solo loro) sentono estranea e irritante, poco o per nulla rispettosa del loro sapere e della loro vita privata.

Un atteggiamento, da parte della scuola, che non piace per come si pone, nella forma e nella sostanza. E quindi questa opposizione assume i toni di una lotta non politicamente mirata contro una o l’altra parte, ma genericamente orientata contro il Sistema che mira alla standardizzazione di metodi e contenuti, e quindi all’uniformazione di costumi e gusti.

Contro quel sistema che viene percepito intrusivo e arrogante, farcito di ordini perentori,  tanto nelle prove quanto nel questionario dello studente che viene somministrato come antipasto. Qui ti chiedono dove sei nato, dove sono nati i tuoi genitori e che titolo di studio hanno e che lavoro fanno, se sei straniero e che lingua parli e che dialetto,  e quanti libri hai a casa e di quanto spazio godi e di quali dispositivi…

Considerato che le prove non sono anonime – come invece amano sottolineare i somministratori dei test – negli studenti sorge il dubbio che lo scopo ultimo di queste indagini sia di profilare – anno dopo anno – due milioni di giovani dai 7 anni in su e delineare l’estrazione culturale, sociale ed economica loro e delle loro famiglie.

In effetti su ogni fascicolo vi era un codice a barre e ora c’è un codice numerico che viene assegnato dal sistema SIDI del Miur a ciascuno studente e che gli resterà appiccicato per tutta la carriera scolastica e forse oltre.

Se a tutto questo si aggiunge l’uso del registro elettronico, c’è di che ricordare il Grande Fratello. Quello di Orwell, non quello di Canale 5. Non resta che la resistenza, passiva ma non troppo. Forse politicamente scorretta ma efficace.

Cosa ne facciano all’Invalsi di questi dati rimane un sospeso preoccupante. Però rimane il fatto che la fastidiosa intrusione nel privato sia qualcosa che agli studenti non garba affatto.

Ci sarebbero poi  le implicazioni storiche, economiche e politiche, le ripercussioni sociali, lavorative e consumistiche. Ma per ora basti immaginare che il mondo degli adolescenti, con i suoi mezzi e i suoi modi, prende posizione.

Chissà che non risorga la Contestazione nel segno della libertà, magari con gli auspici – come una volta di Frodo e Gandalf –  di Harry Potter e dell’elfo Dobby…

RobertoCalogiuri

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