Slow Fish, focus sulla salute dei mari: specie a rischio a causa del consumo a senso unico

Genova – È in corso nel capoluogo ligure l’ottava edizione di Slow Fish, apertasi al Porto Antico di Genova il 19 maggio.

Uno dei focus della rassegna di Slow Food sui cibi del mare è centrato su impoverimento delle specie ittiche e cambiamenti climatici, due fenomeni che mettono a rischio la salute dei mari.

Se negli anni Sessanta erano almeno una quarantina i pesci presenti sulla tavola degli italiani, oggi il grosso dei consumi viene coperto da non più di dieci prodotti.

“Quando si acquista un pesce – ha detto il nutrizionista Michele Sozio – in genere, si sceglie in una rosa molto ristretta di nomi e questo è un vero errore. Rispetto alle oltre 150 varietà consumate abitualmente a metà Ottocento, infatti, nelle pescherie di oggi se ne trova una decina, a volte anche meno”.

Questo comporta un evidente sovrasfruttamento dei quantitativi disponibili di quelle determinate specie e il sostanziale abbandono, per mancanza di interesse economico, di migliaia di pesci pescati comunque con le reti e che sempre più spesso finiscono – ormai morti – in mare.

“È una pratica assurda che dobbiamo assolutamente modificare se abbiamo a cuore il futuro di mari e oceani” afferma Sorzio.

Mentre molte ricette della tradizione scompaiono dalla memoria, altri abitanti del mare fanno capolino nel nostro orizzonte gastronomico: è il caso delle meduse, sempre più presenti e invasive.

Attenti però a pensare che non ci siano conseguenze nel consumare questi animali, avverte il presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Roberto Danovaro: “Non è certo normale pensare di mangiare aquile, leoni e tigri, eppure nei mari stiamo facendo qualcosa di simile”.

In altri casi, invece, il mercato spinge per tornare a sfruttare risorse che già in passato sono finite sull’orlo dell’estinzione: l’Ue aveva contingentato nel 2006 la pesca del tonno rosso, per consentirne il ripopolamento entro un periodo di quindici anni aumentando progressivamente le quote.

Il problema, ricorda Silvio Greco, è che il ciclo biologico della specie richiede almeno cinque o sei anni per la prima riproduzione: “Non ha senso scardinare il sistema delle quote prima di essere sicuri che si sia innescato un circolo di rinnovamento, come rischiamo invece di fare adesso per assecondare le pressioni dell’industria”.

Quel che si muove nel piatto, insomma, ma non è questione di pura e semplice gastronomia. I grandi cambiamenti, a cominciare da quelli climatici, investono il nostro intero modo di vivere: sappiamo che la concentrazione media di anidride carbonica nell’atmosfera ha ormai superato le 400 parti per milione (ppm), una soglia che secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale rappresenta l’ingresso in una nuova era climatica.

Ma cosa c’entra l’aria che respiriamo con l’acqua dei nostri mari? Sul punto risponde Danovaro: “Il mare sequestra quasi il 40% dell’anidride carbonica e produce una molecola di ossigeno su due che respiriamo”.

Il Mediterraneo, dal punto di vista ambientale, rappresenta un caso unico: copre appena l’1% delle acque mondiali ma racchiude il 10% della biodiversità. Per questo è fondamentale capire come mantenere sano questo mare, e non solo in termini di balneabilità.

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