Comune di Monfalcone, lo scontro con Fincantieri sul sistema dei subappalti. Preoccupazione al MEF
Gorizia/Roma – A Monfalcone da diversi giorni si è riaperto un aspro confronto tra l’amministrazione comunale e l’azienda Fincantieri sul sistema di approvvigionamento del lavoro da parte del cantiere navale. Le tensioni riguardano anzitutto il modello produttivo adottato: il massiccio ricorso ai subappalti, i rapporti con la manodopera e la trasparenza nella gestione industriale.
Il Comune, stavolta pure con l’avallo delle opposizioni, ha sollevato critiche sulla quantità di lavoro affidata all’esterno dell’azienda, sui rischi sociali che tale modello comporta e su quella che viene percepita come una scarsa valorizzazione della manodopera italiana. In particolare è stata richiesta un’audizione pubblica con la partecipazione della società e delle rappresentanze sindacali (Rsu), per affrontare le questioni di sicurezza, condizioni di lavoro e ricadute economiche sul tessuto cittadino.
La relazione complicata tra il Comune e Fincantieri, azienda che condiziona pesantemente gli equilibri di un piccolo centro quale è Monfalcone, affonda le radici in un contesto più ampio di trasformazioni industriali e relazioni territoriali. A partire dai primi anni Duemila, la città ha visto crescere la complessità della filiera cantieristica, l’aumento del ricorso al subappalto e l’ingresso crescente di manodopera estera. In questo scenario — segnato da crisi globali e ristrutturazioni del comparto navale italiano — il dialogo tra istituzioni locali e azienda ha vissuto momenti di tensione, con richieste della città di maggiore trasparenza e partecipazione alle scelte strategiche.
Oggi la vicenda assume una nuova dimensione anche sul piano politico, dato che anche le opposizioni in consiglio comunale hanno aderito all’allarme formulato dall’ex sindaca ed europarlamentare Anna Maria Cisint. Cisint, che in Giunta comunale ha conservato la delega a sicurezza, legalità ed economia del mare, ha infatti presentato una mozione — sottoscritta da consiglieri di maggioranza e opposizione — che chiede un nuovo modello produttivo per Fincantieri e riporta l’attenzione su legalità, trasparenza e sviluppo sostenibile per la città.
Le critiche di Cisint sono pesanti: la ex sindaca ha denunciato l’esistenza di una presunta “mafia islamica” nei meccanismi di subappalto, con sospetti di estorsioni ai danni dei lavoratori, affermando che tale rete criminale agirebbe attraverso intimidazioni, richieste di pizzo e controllo di territori e settori produttivi, con collegamenti anche a centri islamici. In più interventi pubblici, video sui social e interviste televisive ha sollecitato le istituzioni e la società civile alla mobilitazione, sostenendo che il fenomeno è piuttosto ignorato dai media. Le opposizioni hanno preso sul serio le sue segnalazioni, dichiarando che la città ha il diritto di pretendere chiarezza e trasparenza nella gestione del cantiere.
Sul fronte aziendale l’Amministratore delegato della Fincantieri, Pierroberto Folgiero, ha risposto con una dura lettera aperta in cui ha rivendicato il contributo economico e sociale della società a Monfalcone, sottolineando che l’azienda genera circa 3 miliardi di euro di Pil nel territorio e garantisce lavoro a migliaia di persone grazie a una filiera estesa di piccole e medie imprese italiane. Folgiero ha respinto le accuse sulla gestione dei subappalti e sull’impegno nel reclutamento di manodopera italiana, affermando che sono stati fatti investimenti in innovazione tecnologica e progetti formativi e di welfare rivolti ai lavoratori. Egli ha definito inaccettabile che si attribuiscano all’azienda comportamenti che secondo lui “minano la reputazione di un’eccellenza italiana”.
Non si è fatta attendere la risposta dell’eurodeputata, in quello che al momento appare come un braccio di ferro tra amministrazione e azienda: “Non vi è solo una responsabilità sociale d’impresa in capo all’azienda – scrive Anna Cisint in risposta a Folgiero – ma anche in capo a chi è stato chiamato a dirigerla. Quest’ultimo non può sottrarsi all’obbligo di affrontare le ricadute delle proprie scelte produttive quando queste coinvolgono un territorio, soprattutto se su di esso è insediato lo stabilimento di eccellenza, nonché il più prestigioso e di maggior dimensione della società. Nessuno mette in discussione le strategie globali di Fincantieri orgoglio dell’intero Paese. Ma ciò non è un salvacondotto per pratiche che allarmano le comunità quando queste superano la sostenibilità sociale e trasferiscono dallo stabilimento al territorio rischi di legalità legati al racket salariale e al pizzo islamico che non sembrano apparire più come casi mediatici isolati”.
Così ancora Cisint: “Il fatto che non si discutano con la città i lavori di ampliamento in corso che rivoluzioneranno profondamente la dimensione aziendale e non si affronti i problemi dei fabbisogni che ne deriveranno, giustifica la convinzione che le conseguenze possano essere ancor più pesanti di quanto si possa immaginare per una realtà che già oggi non riesce a conciliare il gravame di una presenza extracomunitaria fuori da ogni controllo”.
“L’amministratore delegato non può asserragliarsi nella torre d’avorio delle sue visioni strategiche, che nel contesto locale si trasformano in disegni distopici se non sono correttamente gestiti e governati. Non si dialoga con la città attraverso lettere aperte senza possibilità di alcun confronto di approfondimento di merito se non quando si ritengono insufficienti le proprie motivazioni, perché ciò può apparire un segno di debolezza se non di arroganza”.
“Per questo – conclude – dopo la decisione unanime del consiglio comunale, l’appoggio delle parti sociale e la lettera dell’Ad è tempo di sedersi al tavolo e confrontare le rispettive istanze e per questo è giusto che il Comune chieda formalmente l’incontro da farsi nella sede municipale, fornendo una pluralità di date da conciliare con l’agenda dell’Ad per affrontare la lunga lista di problemi individuata dall’assemblea municipale e le questioni della legalità e della presenza islamica indotta dal modello produttivo che allarmano ogni monfalconese e dovrebbero con uguale responsabilità allarmare anche chi dirige l’azienda.”
Le questioni aperte restano quindi numerose. Il subappalto è percepito come un meccanismo a rischio, potenziale fonte di irregolarità e di peggioramento delle condizioni lavorative. La città reclama un modello produttivo che metta al centro la sicurezza, il rilancio occupazionale locale e l’inclusione della manodopera italiana, anche alla luce del fatto che nel sito operano da molti anni lavoratori extracomunitari che costituiscono una parte significativa della forza lavoro e di conseguenza della popolazione residente a Monfalcone. I sindacati, da parte loro, condividono le preoccupazioni dell’amministrazione comunale sul modello attuale: denunciano che una parte consistente del lavoro è affidata a ditte esterne, con ricadute negative su qualità del lavoro, sicurezza e condizioni generali.
A livello nazionale i dati sull’impatto occupazionale della Fincantieri rafforzano la portata del tema. Il gruppo impiega direttamente in Italia circa 11.170 persone nel comparto navale, attivando un moltiplicatore occupazionale che genera circa 44.834 posti nell’industria di primo e secondo livello grazie alla catena dei fornitori. Inoltre, l’effetto indotto — dovuto alle spese delle famiglie degli occupati diretti e indiretti — genera ulteriori 14.800 posti di lavoro, per un totale stimato di circa 70.800 occupati collegati alle attività navali del gruppo. Questi dati mostrano quanto sia elevata la posta in gioco in termini occupazionali e territoriali.
Nel contesto locale, lo stabilimento di Monfalcone è considerato tra i più grandi del gruppo: un numero rilevante di lavoratori diretti e nell’indotto opera nello stabilimento e nelle aziende collegate del Friuli Venezia Giulia. L’assetto produttivo e le scelte strategiche assunte incidono dunque non solo sull’azienda ma sull’intera comunità locale, che guarda con attenzione alle ricadute occupazionali, ambientali e sociali.
Dal versante istituzionale nazionale è intervenuta Sandra Savino, già assessore all’economia nella Giunta regionale del FVG, ex deputata nelle fila di Forza Italia ed attuale sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
“Fincantieri – ha affermato Savino in una nota – è una delle eccellenze italiane più apprezzate a livello internazionale, un attore chiave per l’economia del Paese e per il tessuto produttivo del Friuli Venezia Giulia. Di fronte a una realtà industriale di tale importanza, devono prevalere senso di responsabilità, visione condivisa e spirito costruttivo”.
“Parliamo di una società quotata a partecipazione pubblica – prosegue Savino – che ha saputo integrare innovazione, solidità industriale e radicamento territoriale, contribuendo in modo significativo allo sviluppo economico e all’occupazione anche in Friuli Venezia Giulia, sia in modo diretto sia attraverso il suo indotto che coinvolge centinaia di piccole e medie imprese. È essenziale che tutti i soggetti istituzionali e sociali operino in un clima di cooperazione e rispetto reciproco, evitando derive strumentali che rischiano di danneggiare un’eccellenza nazionale competitiva a livello globale con un carico di lavoro per i prossimi 10 anni, in un momento in cui, in molte aree, si registra una tendenza alla de industrializzazione”.
“Il Governo, nel rispetto delle reciproche prerogative e competenze, – conclude Savino – non farà mai mancare il suo sostegno ad un’azienda strategica come Fincantieri in un momento di crescita così importante. L’ho assicurato, poco fa, anche all’Amministratore delegato”.

