Dazi USA al 15%: per le imprese del Friuli Venezia Giulia è un colpo alla competitività
FVG – Dal 1° agosto entreranno in vigore i nuovi dazi del 15% sulle esportazioni europee verso gli Stati Uniti, frutto dell’accordo raggiunto domenica 27 luglio tra il presidente USA Donald Trump e la presidente della Commissione Europea Ursula von Der Leyen. L’intesa ha scongiurato l’ipotesi di tariffe al 30% inizialmente agitata da Trump, ma introduce comunque una barriera significativa all’accesso al mercato americano per molti settori chiave dell’economia europea, tra cui manifattura, automotive, semiconduttori, farmaceutica e, in parte, l’agroalimentare. Alcuni comparti strategici — come aerospazio, chimica di base e specifiche materie prime — resteranno temporaneamente esclusi grazie alla clausola “zero for zero”, mentre rimangono in vigore i dazi al 50% su acciaio e alluminio.
La notizia ha suscitato le reazioni di esponenti economici e politici del Friuli Venezia Giulia, dove l’export verso gli Stati Uniti rappresenta uno sbocco importante per numerose filiere produttive. Il tono dominante è quello della preoccupazione, tra chi parla apertamente di “errore strategico” e chi invoca compensazioni immediate per evitare ricadute irreversibili sull’economia regionale.
Confindustria Udine: “Un compromesso sbagliato, servono ristori”
“La scelta è stata fatta, ma è la scelta sbagliata” — così commenta il presidente di Confindustria Udine, Luigino Pozzo, sottolineando come l’introduzione dei dazi al 15% rappresenti un cedimento dell’Unione Europea “a una logica protezionistica che danneggia gravemente le sue stesse imprese”.
Secondo Pozzo, a pesare non sarà solo l’aliquota tariffaria, ma anche il cambio euro/dollaro, che peggiora ulteriormente la competitività delle aziende esportatrici. “L’effetto combinato tra dazi e svalutazione del cambio può produrre un differenziale del 35% rispetto allo scorso anno”, afferma, avvertendo che senza misure compensative da parte dell’UE il rischio è la perdita strutturale di intere fette di mercato.
Pozzo chiede che alle imprese europee attive negli Stati Uniti venga riconosciuto un ristoro pari ad almeno il 10% del fatturato generato oltreoceano. E lancia un appello: “Oggi serve una misura straordinaria. Occorre sospendere il patto di stabilità e avviare una politica industriale europea di tutela, perché stiamo affrontando una fase delicatissima, segnata da guerre e da una competizione globale sempre più aggressiva, in particolare da parte della Cina”.
Agroalimentare sotto pressione: Coldiretti FVG teme per vino e formaggi
Pur riconoscendo che l’accordo abbia evitato scenari peggiori, Coldiretti Fvg parla di un’intesa che non può bastare. “Il 15% è meglio del 30%, ma non è sufficiente. Per settori chiave come vino e formaggi – dichiara il presidente Martin Figelj – servirebbe almeno il ritorno al 10%, altrimenti la tenuta del nostro sistema produttivo è a rischio”.
Anche a livello nazionale, la Coldiretti sottolinea che i nuovi dazi avranno un impatto differenziato sulle filiere, e insiste perché la Commissione europea includa il vino nella lista dei prodotti a dazio zero. “Dobbiamo contrastare anche il fenomeno dell’italian sounding – ha affermato il segretario generale Vincenzo Gesmundo – che negli USA costa ogni anno oltre 40 miliardi di euro al vero made in Italy”.
Con italian sounding si definisce l’uso di nomi, etichette e riferimenti grafici che richiamano l’Italia o i suoi prodotti tipici, senza che ci sia alcun legame autentico con il nostro Paese. È un fenomeno molto diffuso nei supermercati americani, dove si trovano prodotti come parmesan o romano cheese made in USA, che imitano l’aspetto e il nome di eccellenze italiane come Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano, ma sono realizzati con ingredienti, tecniche e standard completamente diversi. Un inganno per i consumatori e un danno economico rilevante per i produttori italiani, che faticano a competere con questi surrogati venduti a prezzi inferiori.
La segretaria regionale del PD Caterina Conti: “serve un intervento della Regione”
Dure anche le parole della segretaria regionale del Pd Fvg, Caterina Conti: “Non possiamo essere soddisfatti di un accordo che ci penalizza così pesantemente. Per molte aziende del Friuli Venezia Giulia questa è una situazione ai limiti della sostenibilità, se non oltre”.
Conti chiama in causa il Governo e la Regione, chiedendo un piano di sostegno per i comparti più esposti — manifatturiero, arredo, agroalimentare — e misure transitorie che accompagnino le imprese verso un nuovo assetto commerciale. “È il momento di usare pienamente gli strumenti della nostra autonomia speciale”, conclude.