Quella libertà che non conosce notifiche
Quante volte ti è capitato di lavorare a un file importante e… pling, arriva una mail. Passano tre minuti: bip, un messaggio su WhatsApp (magari del gruppo aziendale creato per “coordinarsi meglio”). Poi, mentre cerchi di rientrare nel flusso, una notifica di Facebook ti segnala che un collega ha commentato la foto della cena aziendale. E addio concentrazione.
Il lavoro oggi è fatto a frammenti: mai un’ora intera senza interruzioni, ma spezzettata da messaggi, riunioni lampo, notifiche. Oggigiorno un dipendente legge e invia parecchie mail al giorno, e a queste vanno aggiunti i messaggi di WhatsApp e le notifiche social che, anche se non “urgenti”, entrano comunque nella testa.
Una volta le mail dovevano semplificare la vita lavorativa. Oggi invece sono diventate un secondo lavoro nel lavoro. La cultura dell’immediato ha trasformato la posta elettronica in una sorta di chat: se non rispondi entro un’ora, sembra quasi tu stia ignorando il mittente.
E intanto, su WhatsApp, spuntano gruppi con titoli improbabili: “Team Progetto X — URGENTE”, “Organizzazione Meeting” (che poi spesso diventa solo un fiume di “ok”, “va bene”, “👍”).
Facebook in ufficio. Molti lo aprono “giusto cinque minuti” per controllare una notifica, e si ritrovano venti minuti dopo a guardare le foto delle vacanze del collega. Il problema è che la linea tra svago e lavoro è ormai sottile: capita sempre più spesso che anche le aziende usino Facebook per eventi.
Il risultato? Non siamo mai davvero fuori dal loop delle notifiche.
Sempre più aziende usano WhatsApp Business per coordinare i dipendenti, Facebook Workplace, versione “aziendale” del social, è adottata da diverse multinazionali. Numero medio di chat attive per lavoratore: 6 (fonte: Microsoft Work Trend Index).
Che sia una mail, un messaggio WhatsApp o una notifica Facebook, il meccanismo è lo stesso: tutto sembra urgente, anche quello che potrebbe aspettare.
È evidente che più strumenti abbiamo per comunicare, meno tempo abbiamo per lavorare davvero.
I social network e la tecnologia ci promettono di accorciare le distanze, di creare una vera globalizzazione culturale, ed in effetti lo fanno: puoi visitare virtualmente paesi lontani senza spostarti, rispettando l’ambiente. Puoi scoprire culture, tradizioni, persone dall’altra parte del mondo semplicemente scorrendo uno schermo.
Un giorno, probabilmente presto, ci saranno tecnologie che ci consentiranno di visitare luoghi lontani senza muoverci davvero, che ci faranno sentire anche gli odori di un mercato marocchino o la brezza di una spiaggia thailandese. Ci saranno App create appositamente per farci “incontrare” persone per caso, come succedeva prima quando ti imbattevi in uno sconosciuto per strada e nasceva una chiacchierata.
Ma c’è un prezzo nascosto in tutto questo: la tecnologia unirà le distanze lontane e ci allontanerà dalle distanze vicine. Chattiamo per ore con colleghi dall’altra parte del mondo, ma ignoriamo chi ci siede accanto. Rispondiamo immediatamente a un messaggio di un cliente a Tokyo, ma rimandiamo la conversazione con il partner a casa. Esploriamo virtualmente Tokyo mentre perdiamo il contatto con il quartiere dove viviamo.
Siamo iperconnessi globalmente, ma disconnessi localmente. La stessa tecnologia che dovrebbe liberarci dai vincoli dello spazio fisico finisce per imprigionarci in uno spazio digitale ancora più soffocante. Ma forse stiamo guardando la questione dal lato sbagliato. Tutto questo bombardamento di notifiche, questa frammentazione del tempo, non è possibile evitarla: è il prezzo del progresso tecnologico. E se oggi ci sembra già troppo, cosa succederà quando la tecnologia si integrerà ancora di più con il nostro corpo?
Credo che arriverà il giorno in cui alcuni dispositivi ci verranno impiantati nel corpo dopo la nascita. Chip sottocutanei per i pagamenti, notifiche che non arriveranno più dal telefono, ma direttamente nel nostro campo visivo.
L’evoluzione tecnologica ci sta portando verso un’integrazione sempre più profonda tra uomo e macchina, e questa iperconnessione permanente fa parte della nostra evoluzione. Oggi abbiamo ancora la libertà di scegliere di spegnere il telefono, di non leggere quella mail, di ignorare quella notifica. Domani potremmo non avere più questa possibilità.
Quella libertà che non conosce notifiche di questo tempo non è quella di poter lavorare ovunque ed essere sempre “collegati”, ma è quella di poter scegliere: “questa mail la leggo domani”, “questo messaggio WhatsApp non merita risposta immediata”, “questa notifica Facebook la ignoro senza sensi di colpa”.
Credo, infine, che la tecnologia ci aiuterà presto fornendoci la possibilità di utilizzare un’App creata appositamente per bloccare tutte le altre app. No, meglio di no, meglio lasciarla stare: finirebbe che riceviamo le notifiche pure da quella.
Enrico Sgariboldi
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