Tagliamento e alluvioni, i comitati sollevano dubbi sul piano. Chiedono trasparenza e basi scientifiche solide
Udine – Il confronto tecnico e politico sul futuro del Tagliamento continua a sollevare interrogativi e tensioni tra le popolazioni rivierasche, riunite in associazioni e comitati che si sono dati l’obiettivo di tenere alta l’attenzione sugli interventi e le “grandi opere” in corso di studio da parte delle istituzioni.
Il tema resta di stringente attualità alla luce delle sempre più frequenti ondate di maltempo, con temporali stazionari e accumuli di piogge di portata straordinaria, come quella che sta imperversando oggi sulla Bassa Friulana e che ha provocato esondazioni del Torre e dello Judrio.
L’audizione organizzata dall’Autorità di Bacino delle Alpi Orientali a inizio novembre, convocata dopo la mozione del consigliere regionale Markus Maurmair e dedicata agli interventi previsti dal Piano di gestione del rischio alluvioni (Pgra) aggiornato con la delibera regionale 530/2024, si è rivelata un passaggio inconcludente: anzi, se possibile ha reso la situazione ancora più ingarbugliata.
Le risposte fornite da Regione e Autorità di Bacino in sede di audizione, secondo l’analisi dell’ingegner Giorgio Damiano per il Comitato Civico “Noi Siamo Tagliamento – ridare spazio ai fiumi” e pubblicata lo scorso 15 novembre sul settimanale udinese “La Vita Cattolica”, non avrebbero chiarito i nodi tecnici, ma anzi ampliato le perplessità.
I 74 quesiti presentati dai tecnici incaricati dai Comuni mettevano in luce numerose criticità strutturali. Molti aspetti vengono ora rinviati alle fasi successive di progettazione – dal Documento di fattibilità delle alternative progettuali (Docfap) al Progetto di fattibilità tecnico-economica (Pfte) – rendendo l’audizione, secondo Damiano, più un passaggio formale che un confronto sostanziale.
Restano pure assenti valutazioni preliminari sull’impatto del cambiamento climatico, dal previsto innalzamento del livello del mare alla subsidenza costiera, fattori cruciali per il deflusso a valle.
A pesare sono anche le ammissioni dell’Autorità di Bacino sulla qualità dei dati di portata a Latisana, giudicati non del tutto affidabili. Elementi centrali come il trasporto solido – ghiaie e sabbie che modellano l’alveo del Tagliamento – non sono stati affrontati in modo soddisfacente.
“Si rischia di progettare opere da quasi un miliardo di euro basandosi su modelli incompleti e dati incerti”, scrive Damiano nel suo intervento. Perplessità arrivano anche sulla scelta di abbandonare la traversa di Pinzano per motivi di complessità, puntando sulla traversa Dignano-Spilimbergo, che paradossalmente risulta ancora più impegnativa da un punto di vista tecnico.
Un passaggio giudicato incongruo riguarda inoltre la ripartizione delle portate al nodo del canale Cavrato. La portata destinata al canale scolmatore è stata ridotta a 1.200 m³/s, molto meno dei 2.500 m³/s storici, mentre al tratto terminale del Tagliamento sono stati attribuiti 2.400 m³/s. Una scelta che, secondo il Comitato, favorirebbe il Veneto e aumenterebbe la pressione idraulica sul territorio friulano, rendendo necessari nuovi rialzi arginali e accrescendo il rischio per la zona di Lignano.
Il Cavrato – lo ricordiamo – è un canale scolmatore che si innesta sul fiume Tagliamento nei pressi di Cesarolo, a sud di Latisana. Il suo scopo è quello di convogliare e deviare una parte delle acque del Tagliamento per ridurre il rischio di piena lungo il corso principale del fiume. Il canale si estende per circa 8 chilometri e sfocia nella laguna di Baseleghe, in Veneto. Originariamente progettato per migliorare la gestione delle acque durante eventi di piena, il Cavrato è oggetto di discussioni politiche e ambientali, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle portate d’acqua tra Friuli e Veneto e l’impatto sulle aree a valle, in particolare Lignano e la laguna di Bibione. La recente inversione delle portate tra Tagliamento e Cavrato ha suscitato controversie per la presunta penalizzazione del territorio friulano a favore di quello veneto.
Il procedimento, già privo di Valutazione ambientale strategica, viene definito “viziato” sia nei presupposti tecnici che nella catena decisionale. Il Comitato, tramite l’ing. Damiano, propone la revoca della delibera 530/2024, lo stop ai progetti delle “grandi opere” e un piano straordinario per la manutenzione del reticolo minore nella Bassa friulana.
Un percorso che dovrebbe includere una reale partecipazione dei territori, una riduzione della vulnerabilità e un’analisi accurata del consumo di suolo, anche con eventuali delocalizzazioni selettive.
Accanto al dibattito tecnico, il confronto corre anche sui social. Un utente, commentando l’articolo, ricorda come gli scenari climatici – surriscaldamento globale, piogge più intense e localizzate, mare più alto e argini ormai tirati al limite – rendano urgente intervenire. Sottolinea la necessità di opere idrauliche “il meno impattanti possibile”, affiancate però da una progettazione accurata e da valutazioni ambientali non eludibili. Una posizione che richiama la fragilità del quadro attuale e la necessità di decisioni rapide ma ben fondate, evitando ulteriori rinvii.

