Un buon futuro non violento si realizza soltanto con la fraternità
Trieste – Guardando più da vicino quanto è successo in Israele e a Gaza a tutte le vittime di tanta insensata violenza, vediamo gli ostaggi israeliani presi da Hamas e tenuti segregati, minacciati, privati dei farmaci, morti di inedia, e poi le altre vittime della sconvolgente reazione israeliana, come la bambina palestinese chiusa in una macchina, superstite di un attentato e circondata da cadaveri, che viene intercettata dalla Mezzaluna Rossa palestinese e la cui voce è ascoltata da operatori sconvolti, ma impossibilitati ad intervenire per mancanza di autorizzazioni, e infine purtroppo persa all’ultimo istante insieme al personale dell’ambulanza finalmente sbloccata. Una storia raccontata nel film molto emozionante “La voce di Hind Rajab”. Fermiamoci e immaginiamo di guardare quel padre che scava a mani nude tra le macerie, non cerca un oggetto, cerca il figlio, che non potrà più abbracciare, oppure l’infermiera che da tre giorni non dorme e ha le mani coperte di sangue, non ha più medicine, né acqua, né elettricità, eppure continua a tenere in vita come può chi ancora respira.
Queste due ultime immagini così forti sono state evocate in una lettera di una studentessa adolescente milanese, una di quelle giovani che, viste queste atrocità, si è mossa da casa e si è unita a tanti , anzi tantissimi altri giovani, che come lei sono scesi in piazza a milioni in tanta parte del mondo, stanchi della disumana violenza sotto quel cielo. Giovani che non vanno confusi con i gruppi di sbandati carichi di una violenza estranea a quei cortei e che va sempre scacciata come un virus maligno della vita umana.
Ma come arrivarci? Mettendo in campo la forza di una vita del tutto alternativa all’odio – che è una forza di morte – e cioè la forza di vita insita in quel sentimento di fraternità universale, che può legare uomini e donne di tutto il mondo e che può essere attivato da chiunque e dovunque, perché è depositato nell’animo umano. Come ha fatto una coppia di cittadini russi, ormai stabilitisi in Italia, allo scoppiare dell’attacco russo in Ucraina, ospitando subito in casa loro in Italia alcuni profughi ucraini, due popoli ricongiungibili solo così, dopo tanto odio. Come hanno fatto in silenzio alcune famiglie italiane, anche della nostra città, ospitando famiglie palestinesi con bambini malati e curati nel nostro ospedale infantile.
In un tempo dominato dalla logica della guerra, della violenza e della ragione di Stato, anche se irragionevole e violenta, il semplice atto di dire no in tante persone e in molti modi pacifici, diventa un barlume di coscienza, anzi una lanterna accesa nella notte. L’accordo appena raggiunto grazie agli Stati Uniti in Medio Oriente e, perché no, anche alle impreviste clamorose reazione mondiali, è però tutto da verificare ed è molto fragile, ma ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti.
Il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, ha giustamente detto: “Sembra essere questo il tempo della violenza, ma i miti ci sono e per loro natura non fanno chiasso. Vogliamo appartenere ai miti e assieme a loro, a tutti i miti di tutte le appartenenze, assieme a loro, poco alla volta, creare quel tessuto sul quale, poco alla volta, poi si potrà ricostruire il futuro. È la mia speranza”. Penso che lo sia anche per molti di noi.
Silvano Magnelli