Cosa posso fare per te? Forse allora è davvero Natale…
Trieste – Alla velocità della luce si passa da un anno all’altro e da un Natale all’altro. Tempo di bilanci non solo economici e politici, tempo di possibili revisioni. Scorre infatti un fiume irruento e insidioso nelle nostre società, dove la solitudine e la mancanza di rapporti sembrano norma assoluta, e dove pare stia arrivando addirittura la “pillola contro la solitudine”, farmaco assai poco credibile ed efficace, se non si riparte invece dall’essenziale riavvicinarsi e farsi prossimi.
Sono convinto che abiti in noi una pensosa indignazione per vicende che schiantano al solo scoprirle, come il mai prima sentito “safari umano”, per cui persone di elevato benessere materiale avrebbero pagato per andare in un posto dove si combatte e per “divertimento” diventare cecchini, uccidendo persino bambini a sangue freddo. La domanda angosciosa e desiderosa di risposte è: ma quale inferno si trova dentro quelle persone? Lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio, riferisce in un editoriale su Famiglia Cristiana che il direttore del Memoriale dell’ex campo di concentramento di Buchenwald ha denunciato l’imbarbarimento di visitatori, spesso giovani, che hanno lasciato adesivi nazisti e svastiche sui muri, con ragazzi fotografati ridendo dentro i forni. Forse pensavano ci fosse stato lì un luna park e quindi un’altra domanda: dov’erano gli adulti di riferimento?
Nei pressi del Natale, che per i credenti cristiani rimane la festa per la nascita di Gesù di Nazareth, annunciatore di un altro genere di umanità, dobbiamo chiederci con onestà, anche se non ci si riconosce nella fede cristiana, quali potrebbero essere i rimedi a tale smisurata disumanità. Ernesto Olivero, fondatore a Torino del Servizio Missionario Giovani, che opera da 50 anni mettendo insieme comunità di giovani per la pace e per la compassione fraterna nell’Arsenale della Pace, riparte da una domanda ineludibile: “Cosa posso fare per te?”. Pare quasi che la compassione, il mettersi nei panni degli altri, la stessa gentilezza, siano sentimenti da museo, ma non è così. Se ci pensiamo, è quanto di più umano possa esserci. E come ci riferisce un reportage di Francesca Caferri e Francesca Borri, inviate di Venerdì, settimanale di Repubblica, la pensano così anche gli abitanti di un villaggio tra Tel Aviv e Gerusalemme, in cui si testa la convivenza tra ebrei e arabi nella comunità denominata Neve Shalom: “A scuola si parlano due lingue e si studia la storia di due popoli. Nella Casa della preghiera c’è spazio per tutte le religioni, anzi anche per gli atei. Dopo il 7 ottobre hanno pensato a una Tenda del lutto, dove i residenti di entrambi i popoli possono condividere le storie delle persone care che hanno perso in questa guerra dall’una e dall’altra parte del confine.”
Insomma, l’utopia insiste e resiste, per cui, seppure a piccoli passi di fraternità, spesso invisibili ma veri e verificabili, seppure in forme sparpagliate ma diffuse ovunque, prosegue la sua marcia verso la pace, come ci conferma la scrittrice Mariangela Gualtieri: “Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e di sangue. Lo fa perché è facile farlo. Noi siamo solo confusi. Ma sentiamo ancora. Siamo ancora capaci di amare. Ancora proviamo pietà”.

