Al di là della mancata riapertura degli impianti: lo sci è in crisi ma non la passione per la montagna

FVG – Gli operatori del turismo in montagna sono giustamente preoccupati per la mancata riapertura degli impianti di risalita.

Mentre si attendono ristori che si auspica siano adeguati alle perdite, è opportuno ricordare che lo sci da discesa, a prescindere dal Covid, sta vivendo una crisi che dura da più di un decennio.

I dati annuali dell’International Report on Snow & Mountain Tourism parlano di un mercato che non offre ulteriori prospettive di sviluppo.

In 10 anni, dal 2005 al 2015, il mercato dello sci alpino è crollato del il 50%. Il fatturato di settore, in Italia, è passato da 106 milioni di euro a 52 milioni (dati Pool Sci Italia).

Alla base di questa crisi ci sono diversi fattori.

Anzitutto i cambiamenti climatici, che rendono sempre più incerta la possibilità di aprire le piste per tutta la stagione, anche in presenza di innevamento artificiale. Nell’ultimo decennio ci sono stati almeno cinque inverni caratterizzati da carenza di precipitazioni sulle Alpi. E senz’acqua anche i cannoni sparaneve devono tacere.

C’è poi il generale impoverimento della classe media, che ha fatto tramontare l’epoca della “settimana bianca”, complici anche i ritmi di lavoro sempre crescenti: tutt’al più, ci si può permettere un fine settimana lungo.

Le statistiche però dicono anche che stanno cambiando i gusti dei frequentatori della montagna. Le valli alpine registrano una diminuzione costante del numero di sciatori ma un aumento altrettanto costante degli escursionisti.

Il mercato degli sport legati al turismo nelle aree naturalistiche vede una continua crescita che, dal 2012, viaggia al ritmo del 3% annuo.

Il dato che può confortare gli operatori della montagna è che è in crisi lo sci, ma non la passione per l’escursionismo, sia invernale che estivo.

Lo dimostra la crescita sorprendente della passione per le “ciaspolate”: la specialità escursionistica è passata dai 322.000 praticanti del 2011 ai 505.000 dello scorso inverno, facendo registrare un incremento del +56,8%.

La buona notizia è che la crescente attenzione per l’ambiente, il gusto della natura incontaminata, la riscoperta della “fatica” per raggiungere le vette, libera gli operatori della montagna dalla dipendenza dai capricci del clima e dai costi esorbitanti di gestione degli impianti di risalita.

Un’opportunità che può essere colta anche da località fuori dalle rotte del “turismo di massa”. Un fenomeno a cui la pandemia sta dando il colpo di grazia.

 

 

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