Confindustria AA, convegno sull’instabilità economica globale: “Trump sta cambiando le regole”

Pordenone – Il 16 aprile si è tenuto un convegno organizzato da Confindustria Alto Adriatico nella sua sede pordenonese per discutere gli effetti delle nuove politiche commerciali USA sull’economia nazionale e locale. L’incontro si è aperto con il saluto istituzionale del neoeletto sindaco di Pordenone, Alessandro Basso.

A introdurre i lavori è stato il presidente di Confindustria Alto Adriatico Michelangelo Agrusti, che ha descritto il momento attuale come uno di quelli in cui “la storia accelera”, rendendo difficile riconoscere i tradizionali punti di riferimento geopolitici ed economici. Nel suo intervento, Agrusti ha messo in guardia contro le conseguenze dell’instabilità generata dalle scelte e dalle dichiarazioni di Donald Trump, definito “un attore da non sottovalutare”. Le sue continue uscite pubbliche, ha osservato, producono cambiamenti improvvisi negli scenari globali, con effetti che rischiano di compromettere l’equilibrio dei mercati e le opportunità di commercio su scala internazionale.

Nel caso del Friuli Venezia Giulia, una regione con una forte vocazione all’export, le conseguenze sono già visibili: molte imprese si trovano ora a dover ripensare i propri mercati di riferimento. Agrusti ha evidenziato la necessità di una riorganizzazione sia a livello nazionale che europeo per affrontare il cambiamento in atto. Ha anche espresso preoccupazione per il possibile spostamento di aziende italiane verso gli Stati Uniti attratte da un sistema fiscale più favorevole, che a suo avviso rappresenterebbe un approccio predatorio da parte americana.

«Occorre resistere a questa semplificazione che andrebbe a vantaggio solo degli Stati Uniti di Trump», ha affermato, auspicando che l’Europa e l’Italia riaffermino la propria posizione nei rapporti transatlantici. Questo anche in vista dell’incontro previsto tra la premier Giorgia Meloni e la nuova amministrazione americana.

Agrusti ha infine richiamato l’attenzione sul ruolo del sistema industriale italiano, in particolare nei settori della difesa e della cantieristica, che deve sapersi adattare alle nuove sfide mantenendo alta la competitività.

Durante il convegno, Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi di Confindustria, ha delineato le potenziali ripercussioni economiche delle misure protezionistiche statunitensi. Ha parlato di un vero e proprio “terremoto” nelle relazioni produttive internazionali, paragonabile all’uscita dagli accordi di Bretton Woods o allo Smoot-Hawley Act del 1930. Secondo il ricercatore, gli Stati Uniti, pur essendo i principali importatori mondiali, stanno adottando politiche che rischiano di danneggiare i loro stessi partner economici, tra cui l’Italia.

I numeri confermano la portata del rischio. Gli Stati Uniti rappresentano la prima destinazione extra-UE per beni, servizi e investimenti italiani e il secondo mercato per l’export, con una quota del 10,4%. Nel 2024, il 99,1% delle esportazioni verso gli USA ha riguardato beni manifatturieri. Un’eventuale introduzione di dazi al 10% comporterebbe una riduzione del PIL italiano dello 0,3% entro il 2026 con una contrazione dell’export pari a 4,1 miliardi nel 2025 e a 7 miliardi cumulati a fine 2026. A farne le spese sarebbero anche i consumi, gli investimenti e l’occupazione, con una perdita stimata in oltre 62 mila posti di lavoro.

I settori più colpiti sarebbero quello automobilistico, quello dei macchinari e delle apparecchiature, con un impatto complessivo stimato in oltre 11 miliardi di euro.

A peggiorare ulteriormente lo scenario potrebbe contribuire una svalutazione del dollaro, che renderebbe più concreta l’ipotesi di una recessione americana e di una crisi globale del commercio.

Fontana ha sottolineato anche il rischio di delocalizzazione: circa 80 mila aziende esportatrici italiane potrebbero essere tentate da un trasferimento negli Stati Uniti. Per contrastare queste dinamiche, ha suggerito di rafforzare la diversificazione dei mercati, consolidare le alleanze commerciali, semplificare la burocrazia europea e promuovere maggiori investimenti produttivi.

Infine, Federico Fubini ha offerto una lettura più strutturale del cambiamento in corso. Il vicedirettore del Corriere della Sera ha osservato che le tendenze attuali proseguiranno anche in assenza di figure come Trump o Putin. Le politiche commerciali dell’amministrazione Biden non hanno infatti segnato una discontinuità, ma hanno in parte confermato e ampliato quelle dell’era Trump, mostrando un consenso trasversale negli Stati Uniti.

Uno degli esempi più significativi è il blocco dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, provocato dalla mancata nomina del giudice statunitense presso l’organo d’appello, e mai sbloccato dall’attuale amministrazione. Secondo Fubini, si tratta del sintomo di una trasformazione più ampia: il sistema multilaterale nato nel 1947 con il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade, in italiano Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio) e consolidato attraverso istituzioni quali il G7 e il G20 sembra avviarsi verso una fase di superamento, in cui le dinamiche globali sono sempre più guidate da strategie nazionali piuttosto che da regole condivise.

 

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