Conflitti in aumento, crescono i flussi di persone in cerca di rifugio nonostante annunci su calo degli arrivi
Trieste – In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, svoltasi lo scorso 20 giugno, a Trieste le principali realtà attive nel settore dell’accoglienza – Consorzio Italiano di Solidarietà – ICS, Diaconia Valdese, International Rescue Committee – IRC, Linea d’Ombra e No Name Kitchen – hanno presentato la situazione attuale dei flussi migratori in una conferenza stampa svoltasi al Circolo della Stampa.
Mentre le dichiarazioni istituzionali parlano di un calo degli arrivi, emerge un quadro preoccupante: persone divenute invisibili, lunghe attese per accedere alla procedura d’asilo, assenza di alternative abitative dignitose e rischi crescenti legati alla militarizzazione della rotta balcanica. Così il presidente di ICS Gianfranco Schiavone:
il punto sulla situazione è drammatico. Il rapporto dell’UNHCR “Global Trends”, appena pubblicato, mostra un ulteriore aumento dei migranti forzati nel mondo, anche a causa della crescita dei conflitti. Temiamo che la situazione possa riverberarsi sul nostro territorio nel futuro prossimo.
I numeri globali
A livello mondiale, i dati del “Global Trends Report 2024” dell’UNHCR raccontano uno dei contesti più inquietante degli ultimi decenni. Alla fine del 2024, infatti, quasi 123,2 milioni di persone risultavano forzatamente sfollate, un valore che equivale a una persona su 67 nel mondo Per la prima volta nella storia recente, più di 42 milioni di queste persone erano rifugiate oltre i confini nazionali, circa 8,4 milioni stavano aspettando di ottenere asilo, mentre 73,5 milioni erano costrette a spostarsi solo all’interno del proprio Paese. Queste cifre rappresentano un aumento ingente rispetto agli anni precedenti, e non solo prefigurano una tragedia umanitaria senza precedenti, ma illuminano anche con chiarezza le ragioni della pressione sulle città di confine come Trieste, che oggi risente soprattutto di quei flussi paralleli e spesso sfuggenti.
Il volto nascosto dei flussi: arrivi e invisibilità a Trieste
Nel 2024 a Trieste si è registrata una diminuzione del 16,4% nel numero di persone incontrate da Diaconia Valdese e IRC rispetto all’anno precedente, ma questo calo va interpretato con cautela. Marta Pacor, referente della Diaconia Valdese, ha evidenziato le condizioni di una rotta divenuta sempre più militarizzata, dove i tentativi di ingresso si fanno più nascosti e rischiosi. Ne emerge una “invisibilità” delle persone in transito: non perché i flussi si siano fermati, ma perché si sono spostati fuori dai circuiti di osservazione tradizionali. D’altronde, i dati raccolti da IRC confermano che nel primo semestre 2025 quasi 3.000 persone sono state assistite, con un terzo di esse in condizioni di vulnerabilità – minorenni non accompagnati, famiglie con bambini, donne sole – provenienti soprattutto da Afghanistan, Bangladesh e Nepal.
La percezione locale riflette uno spostamento culturale: nel 2024, soltanto il 4% delle persone incontrate a Trieste manifestava l’intenzione di restare in città, mentre oggi quella stessa percentuale è salita al 20%. Vale a dire che un numero crescente di migranti non vuole più solo transito, ma ricerca stabilità. Una situazione che richiede soluzioni abitative, integrative e di orientamento che, finora, sono state insufficienti o del tutto carenti.
Tempi di attesa inaccettabili
Uno dei problemi più critici riguarda i tempi di accesso alla procedura di asilo. A maggio 2025, l’attesa media per poter formalizzare la domanda ha superato i 20 giorni, con picchi oltre i 30 giorni. Questo non è un semplice ritardo burocratico: è l’aver creato un limbo abitativo, in cui le persone restano totalmente escluse da ogni servizio vitale, costrette spesso a dormire per strada. In questo spazio e tempo sospesi emergono figure invisibili, come raccontano i volontari della No Name Kitchen: uomini, donne e bambini che arrivano di notte, trovano qualche sostegno emotivo e materiale al mattino e ripartono, spesso senza che né la città né i dati ufficiali chiedano loro di rimanere o che vengano contati.
Rotte più pericolose e reti di traffico: il “taxi game”
La militarizzazione dei confini ha avuto un effetto paradossale: le persone in fuga evitano le frontiere ufficiali, preferendo viaggi più pericolosi con il “Taxi game” o a piedi, affidandosi a reti di trafficanti . Arianna Locatelli, ricercatrice per MigrEurope, spiega che questo spostamento verso percorsi non controllati non solo aumenta le probabilità di sfruttamento, ma rende i migranti ancora più invisibili, in un contesto già fragile e disomogeneo.
Il“taxi game” è una modalità di attraversamento irregolare dei confini lungo la rotta balcanica, adottata da migranti che pagano gruppi di trafficanti (i cosiddetti “smugglers”) per spostamenti in auto su uno o più segmenti del tragitto. Questa modalità si integra nel più ampio concetto di “Game”, termine che i migranti usano per definire l’intero percorso clandestino: un vero e proprio gioco, seppur drammatico, dove ciascuna “mossa” dipende da costi, percorsi, contromisure di controllo e disponibilità finanziarie.
Nel “taxi game”, chi ha risorse economiche sufficienti può pagare un’auto privata — spesso più sicura e veloce rispetto alla rotta a piedi — per spostarsi da una tappa all’altra, evitando i valichi ufficiali e riducendo i rischi associati ai passaggi a piedi. Il prezzo varia in funzione della distanza da coprire: “più cammini, meno paghi; con l’automobile, viceversa”. Ci sono casi in cui un solo taxi consente di attraversare intere sezioni di confine limitando le soste, ma con costi elevati: si parla di migliaia di euro a persona, talvolta fino a 5.000 euro per tratte come Bosnia–Croazia–Italia.
Questa strategia nasce dalla militarizzazione dei confini. Le persone in movimento scelgono quindi di affidarsi al “taxi game” come alternativa più rapida e meno esposta, ma si mettono nelle mani di reti criminali che pongono gravi rischi sulla sicurezza e dignità dei migranti.
ONG in affanno, istituzioni in ritardo
Nel frattempo, le organizzazioni umanitarie sono costrette a sopperire alle mancanze: Linea d’Ombra ha assistito oltre 2.200 persone nei primi mesi del 2025 – tra le quali 250 minori non accompagnati – con una spesa di circa 60.000 euro al mese, sostenuta esclusivamente da donazioni. Allo stesso tempo, l’ex Ostello Scout di Campo Sacro, previsto come centro di prima accoglienza, rimane sottoutilizzato per mancanza di adeguamenti strutturali. Eppure proprio lì, convergono i pochi strumenti istituzionali esistenti. I trasferimenti prefettizi – circa il 70% verso strutture sarde isolate e non attrezzate – spesso non vengono comunicati alle persone coinvolte, incrementando disorientamento e insicurezza.
La situazione triestina riflette le dinamiche globali. Nel mondo, la quasi totalità delle persone sfollate vive in Paesi vicini a quelli di origine, mentre molti rifugiati risultano spostati all’interno degli stati in crisi. Solo una piccola frazione giunge in Europa, dove però trova sempre meno strumenti di accoglienza efficiente. Le attuali pressioni locali non sono quindi un’eccezione, ma piuttosto l’epifania di una tragedia globale sempre più diffusa e urgente.
Le associazioni non chiedono gesti simbolici, ma decisioni concrete: riduzione drastica e permanente dei tempi di accesso alla procedura d’asilo; apertura e adeguamento immediato di strutture per accoglienza sicura, in particolare per i vulnerabili; trasparenza urgente nella comunicazione sui trasferimenti; protezione reale, non retorica, lungo la rotta balcanica. Perché l’emergenza a Trieste non è più un’emergenza: è diventata la normalità.
La Giornata Mondiale del Rifugiato
La Giornata Mondiale del Rifugiato è stata istituita dalle Nazioni Unite per evidenziare la situazione drammatica delle persone costrette a fuggire da conflitti, persecuzioni o violenze. Si celebra ogni anno il 20 giugno, in coincidenza con l’anniversario della Convenzione sullo Statuto dei Rifugiati del 1951.