Dedicato a Giulia Gabrieli il pellegrinaggio in bici a Medjugorje: galleria fotografica

Trieste – Da due anni è tutto fermo per combattere il Covid. Quest’estate tuttavia è possibile uscire dal territorio nazionale e si può tornare ad una “controllata” vita normale. Ma è da mesi che Igor Vodopivec prepara il suo decimo pellegrinaggio in bicicletta verso Medjugorje, da mesi spera nella riapertura dei confini che sono ben tre, Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina, da mesi ha una sua personale missione dopo aver conosciuto la storia di Giulia Gabrieli.

Giulia è una ragazzina come tante altre, ma a 12 anni deve fare i conti con un brutto tumore che la mette a dura prova. Giulia affronta la malattia con il sorriso, mettendo di fronte al dolore una spiritualità mai vista, fatta di parole di puro amore, che sconcerta tante persone, lasciandole attonite di fronte a tanta forza.

Riesce anche a scrivere un libro (“Un gancio in mezzo al cielo”) e sceglie come sottofondo musicale la canzone “Strada facendo” di Claudio Baglioni, cantata da Laura Pausini. Arriva anche qualcosa di speciale mentre lei combatte il mostro che la vuole morta, qualcuno si converte, grazie alle sue parole.

Dopo due anni di lotta impari, il 19 agosto 2011, Giulia si lascia portare dal “gancio in mezzo al cielo “, ma lascia il suo sorriso nel suo corpo ormai provato dalla brutta malattia. Ed è così che Igor decide di dedicare il suo decimo ciclo pellegrinaggio a lei, la giovane Giulia, ora in fase di processo di beatificazione.

Come per ogni ciclo pellegrinaggio, Igor raccoglie appassionati della bicicletta e assistenti che vogliano portare alla Madonna di Medjugorje, attraverso la fatica dei 530 km, richieste di aiuto per chi soffre o è in difficoltà nella vita. Le richieste per ora sono coperte dal segreto, ma se dovessero diventare miracoli sarebbero la prova della santità della giovane Giulia e diventerebbero prove a suo favore nel percorso di beatificazione.

Il pellegrinaggio incontra fin da subito un grosso problema: i tamponi (tutti negativi) per poter passare i confini, valgono 48 ore e con tamponi fatti nel pomeriggio e la partenza alle 07,30 del giorno successivo, restavano 32 ore di bicicletta per arrivare al confine bosniaco. Si passa il primo confine, c’è il sole e fa caldo ma è normale per il periodo.

Ad un bivio, la macchina che mi accompagna come fotografo sbaglia strada e nel ricongiungersi con il gruppo perdiamo un’altra ora, che peserà, assieme all’altra ora e 1\2 già persa, non poco nell’economia dell’arrivare in Bosnia entro le 15 del 20 agosto.

A questi inconvenienti si aggiungono altri problemi: uno dei sei ciclisti deve fermarsi per forti crampi alle gambe, poi dopo un paio d’ore, tocca ad un altro ciclista fermarsi perché non riesce a tenere il ritmo dei 25 km\h del gruppo. Restano in quattro, di cui un giovane che fa solo spezzoni del percorso, per mancanza d’allenamento.

Si prosegue, tra soste di 20 minuti e tratti anche di 50 km, prima di rifiatare nuovamente e si arriva alla sera con un altro imprevisto: uno dei ciclisti, accusa forti dolori alla spalla e deve per forza fermarsi anche lui. Restano due ciclisti in strada e questo rende tutto più difficile per la mancanza di un elemento trainante. A notte fonda, si ricomincia a pedalare, fa freddo, molto freddo, con il termometro che segna 6° appena, da non crederci, visti i 38° durante il giorno. Ad un ristoro, deve fermarsi per stanchezza e freddo, ancora un altro ciclista, lasciando solo uno a percorrere il tragitto, cosa che però non è fattibile tecnicamente e si decide a malincuore di caricare anche l’ultimo ciclista, permettendo così di recuperare il tempo perso e di far riposare tutto il gruppo. Il tratto senza pedalatori è di circa 100 km e 4 ore recuperate sull’ora fissa per passare il confine.

Arriva l’alba, si fa colazione e si riparte in bici, riposati e senza assilli per i ritardi. Si pedala in tre con un vento caldo che è contrario al movimento, ma riusciamo a gestire le risorse idriche senza problemi, tanto che torna in pista anche il quarto ciclista e si forma il gruppetto base per i cambi volanti fra primo e ultimo. C’é anche tanto traffico a dar pensiero, ma un mezzo è sempre dietro a proteggere la piccola carovana a due ruote e fra foto e video e ristori, si arriva in Bosnia Erzegovina già a mezzogiorno, lasciandoci dietro i grossi problemi incontrati.

Tappa obbligata a Tihaljina, dove c’é la vera statua di Medjugorje, poi ci si prepara all’arrivo in parata al Santuario di Medjugorje, dove foto e video prendono spazio per le emozioni personali e per il rischio di una bella multa per sosta vietata, scongiurata spostando rapidamente il mezzo.

Si passa il resto del giorno nella pensione a mangiare e riposare un pò, prima di andare nei punti chiave di Medjugorje, dove cioè apparve la “Gospà” (Signora) sul colle Podbrdo. Il giorno dopo è sabato e già al mattino, per evitare il caldo, si sale sul monte Krizevac, pregando per chi soffre, fino ad arrivare in cima, dove una grande croce bianca permette di riposarsi dalla la fatica degli oltre 500 mt di dislivello fra sassi sconnessi e polvere rossa.

Nel pomeriggio, scelta fra visita a Mostar o altri punti da visitare a Medjugorje, Io scelgo Mostar per portare un saluto ai tre giornalisti uccisi nel gennaio 1994 per raccontare la tragedia della guerra dell’ex Jugoslavia. Alla sera ritrovo per l’adorazione della croce e al mattino della Domenica i preparativi per il rientro con mezzi meccanici, Santa Messa in Italiano e viaggio di ritorno. Raccontare tutto in un unico post è impossibile, perché tante le cose successe oltre a quelle raccontate qui, ma rientrano nella sfera personale di chi assieme a me, ha reso vivo questo decimo ciclo pellegrinaggio.

Testo e foto di Stefano Savini

Print Friendly, PDF & Email
Condividi