Nuove grotte e una straordinaria galleria subacquea: le sorprese di Timavo System Exploration 2018

Trieste – Risultati eccellenti e inattesi per l’edizione 2018 di Timavo System Exploration (TSE), il programma di esplorazioni speleosubacquee nelle cavità carsiche avviato nel 2013 su impulso di Piero Luchesi (Società Adriatica di Speleologia) e condotto ad agosto di ogni anno, con una pausa nel 2017.

I partner di TSE sono la Società Adriatica di Speleologia (SAS) e la Fédération française d’études et de sports sous-marins (FFESSM), con la partecipazione di molti speleologi provenienti da gruppi della Slovenia e dell’Italia.

L’obiettivo principale di TSE è l’esplorazione e la scoperta di gallerie e collettori che caratterizzano il fiume Reka-Timavo nell’abisso di Trebiciano, sul Carso triestino, e nel pozzo dei Colombi, cavità collegata alle risorgive del fiume, dove le esplorazioni hanno portato i sub ad una profondità di ben 82 metri sotto il livello del mare (la media del Golfo di Trieste è di 25 metri).

Quest’anno i tre speleosub March DouchetJérémie Prieur Drevon e Michel Philips hanno circoscritto le ricerche a Trebiciano: la scelta si è rivelata azzeccata, facendo segnare progressi consistenti e inaspettati.

In effetti è stato l’abisso di Trebiciano a riservare le sorprese più grandi. La mappatura sotterranea dei canali è aumentata di anno in anno. Gli speleosub hanno scoperto ed accuratamente rilevato oltre 500 metri di gallerie mai esplorate.

La spedizione 2018 ha permesso di progredire nel sifone di uscita, inviolato sino a due anni fa, dove i sub sono avanzati per una cinquantina di metri sino a raggiungere due cavità a pelo libero, cioè non allagate, con presenza di aria, a 250 m. circa dalla grande caverna Lindner. Cavità “gemelle” viste le dimensioni simili.

Le ipotesi degli studiosi della Società Adriatica e la percezione ed esperienza dei sub sono concordi: questi due ambienti sono solo l’assaggio di qualcosa di più grande. Le cavità a pelo libero sono un segnale: probabilmente il sifone è stato superato e manca poco per raggiungere un ambiente di vaste dimensioni.

L’ipotesi è avvalorata dai potenti soffi d’aria che si avvertono in superficie, nella soprastante dolina detta “Dolina Reka”, quando il Timavo è in piena.

Le esplorazioni 2018 si sono svolte anche nel sifone di entrata, dove a causa della minima corrente – siamo in periodo di magra, il flusso è di appena 0,6 metri cubi al secondo – e della visibilità ridotta a poco più di mezzo metro, le speranze di trovare il collettore principale d’arrivo dell’acqua erano davvero poche.

Ma incredibilmente, durante l’ultima immersione, in una zona già battuta ed esaminata, oltrepassando una duna di sabbia, gli speleosub si sono accorti di un passaggio parzialmente nascosto dietro una curva… e la corsa si riapre!

I subacquei hanno potuto stendere una sagola di 70 metri nella parete sinistra di una galleria di grandi dimensioni, del tutto inesplorata. Soffitto, lato destro e pavimento non si sa dove siano e la galleria prosegue alla grande.

Dopo 70 metri, spaesati dalle dimensioni degli ambienti e per questioni di tempi d’immersione, i sub sono tornati pian piano indietro, attraversando i quasi 400 metri di gallerie esplorate negli anni precedenti, sino alla caverna Lindner; dopo 300 metri di scale per uscire dalla grotta, hanno rivisto la luce.

È stata così finalmente trovata la prosecuzione del sifone di entrata, che continua apparentemente senza ostacoli e nella direzione giusta, cioè verso la Jama Sesanske Reke, presso Orlek.

In questa cavità, nel 2015, gli esperti della Società Adriatica di Speleologia, assieme ai ricercatori dell’Università di Trieste, avevano effettuato un tracciamento delle acque, confermando la netta comunicazione tra le acque delle due grotte, che distano in linea d’aria circa un chilometro.

La misurazione della velocità del colorante di tracciamento aveva indicato che il tortuoso corso del fiume nei meandri carsici è di 2,5 km circa.

In questa edizione di TSE si è aggiunta un’importante novità: la collaborazione con SOS Proteus, un progetto transnazionale per la protezione di questo raro anfibio nonché delle acque e degli ambienti dove vive la specie.

Nell’ambito del programma gli speleosub hanno effettuato campionamenti di DNA sui protei che vivono nelle acque della grotta, con tecniche non invasive. I campioni saranno studiati dai ricercatori dell’Università di Lubiana.

Proteus Anguinus è l’anfibio stigobio più grande che si conosca ed è una specie particolarmente vulnerabile. Il ridotto areale limitato alle acque sotterranee del Carso e delle Alpi Dinariche e la trasformazione dei territori aumentano i rischi per questa specie, con cui l’uomo condivide la dipendenza dall’acqua dolce.

La ricerca rientra in un programma più ampio di collaborazione con enti italiani ed esteri per la mappatura del DNA, che consentirà di disporre di un database per le ricerche del DNA ambientale.

Il DNA ambientale permette di ottenere la mappatura di tutti gli organismi viventi in un determinato ambiente, evidenziandone il grado di biodiversità.

Grazie alla preziosa collaborazione degli speleosub, è stato possibile individuare una trentina di esemplari di proteo, tra cui alcuni giovani, di appena 10 cm di lunghezza.

Testo a cura di: Tiziana Melloni, Marco Restaino.
Foto: Stefano Savini (tutti i diritti riservati).

Print Friendly, PDF & Email
Condividi