Presentata a Trieste l’opera che racconta la storia della compagnia teatrale Accademia della Follia

Trieste – Grazie a una maschera diversa da quella del malato tante vite sommerse, negate dall’etichettatura di una diagnosi e azzerate dall’assenza di relazioni, sono venute alla luce. Non teatro emarginato, né tanto meno rappresentazione della marginalità, ma un luogo di lavoro dove la sofferenza individuale trova lo spazio delle parole e dei gesti.

Non teatro terapia, ma una compagnia di persone che hanno scelto di rivendicare il proprio disturbo mentale e di metterlo in scena. È tutto questo e molto di più l’Accademia della Follia, fondata da Claudio Misculin, Angela Pianca e Cinzia Quintiliani: una compagnia teatrale che ha incontrato lungo il percorso oltre mille persone, molte delle quali si sono affacciate a quest’esperienza dopo 30-40 anni di manicomio.

Una realtà che ha realizzato più di settanta spettacoli, collaborando con artisti come Giuliano Scabia, Dacia Maraini, Dario Fo, andando in trasferta in Europa, ma anche in Brasile e più recentemente in Colombia, e che ora è sbarcata in Rete. Guidata da Marco Cavallo, simbolo della rivoluzione basagliana a cui ha dato corpo e voce, la compagnia ha realizzato “Il cantastorie dell’Accademia della Follia”.

Il progetto ha potuto contare sul contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (Bando Cultura Creatività) e sulle partnership di Soprintendenza Archivistica del Friuli Venezia Giulia, dell’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina, del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, della cooperativa sociale Ghirigori e dell’associazione CON/F/BASAGLIA.

Lo spettacolo è stato presentato pubblicamente nel pomeriggio dello scorso lunedì 23 giugno, al teatro Rossetti, alla presenza di Luca Caburlotto, Soprintendente archivistico del Friuli Venezia Giulia, Francesca Frugoni, funzionaria della Soprintendenza archivistica FVG, Erika Rossi, regista che ha fondato la società Ghirigori e che recentemente ha messo in pellicola la storia dell’Accademia, numerose insegnanti, oltre che di Angela Pianca, Cinzia Quintiliani e Carmen Palumbo, dell’Accademia della Follia, che hanno illustrato il progetto a un pubblico attento e interessato.

«Questa volta — ha spiegato Carmen Palumbo, responsabile del coordinamento grafico del progetto — il racconto non calca le scene di un teatro, ma si snoda tra i piani narrativi di un sito internet interattivo e multimediale, uno spazio virtuale animato per mettere in scena la memoria privata e pubblica che attraversa i quarant’anni di ricerca tra teatro e follia dell’Accademia e per rappresentare l’impegno artistico e civile dell’associazione.

In un mosaico di musiche, foto, video, spettacoli, interviste, coreografie, testi, testimonianze, ricordi e riflessioni, l’archivio storico della compagnia, che è stato ufficialmente riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali “di grande valore culturale e di elevatissimo valore sociale per la storia nazionale” e completamente digitalizzato, prende vita in aperture e contaminazioni tra linguaggi. Il teatro, la musica, la parola diventano poesia visiva capace di raccontare l’avventura di varcare frontiere, di rappresentare i passaggi e i cambiamenti della storia della deistituzionalizzazione basagliana.

Con il tono leggero e corale di un antico cantastorie, in ogni quadro del sito è rappresentato un passaggio disegnato a mano dallo studio creativo Duna (Brasile). Un sito web, dunque, che parte dall’analogico per stabilire un dialogo con il lavoro eminentemente artigianale del teatro.

La figura del cantastorie rende immediata e naturale la trasformazione del racconto in un percorso virtuale interattivo in cui il visitatore può perdersi liberamente, vagare da un tempo ad un altro, tornare sui propri passi, disegnando il proprio personale itinerario, e riconoscersi in questa ricerca e alla fine ritrovarsi forse diverso.

Ad entrare in ogni “frame” della storia, si viene direttamente coinvolti in luoghi della memoria personale e collettiva che echeggiano gli spazi e le architetture del luogo da cui tutto si è originato: il Parco San Giovanni di Trieste con il suo roseto, voluto e desiderato dallo psichiatra Franco Rotelli, oggi a lui dedicato».

Una storia che assieme alle storie che l’hanno costruita continuiamo a raccontare — ha concluso Angela Pianca —, perché il futuro ha radici nella memoria.

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