Uno spettacolo per non dimenticare mai

18 settembre 1938. In un tristemente noto discorso di Mussolini da un palco eretto all’occasione in Piazza Unità d’Italia a Trieste, venivano annunciate alla nazione le leggi razziali. Oggi una targa posta quale pietra d’inciampo nel lastricato della piazza ed una affissa sotto i portici del municipio tergestino ne fanno memoria.

Trieste, inizialmente ventre ospitale e accogliente e poi violenta matrigna per un’importantissima, florida, integrata comunità ebraica. Trieste, crocevia di culture, lingue, culti religiosi.

Trieste, primo obiettivo delle violenze squadriste in tutto il territorio nazionale, poi teatro del drammatico annuncio delle leggi antisemite, infine fabbrica di morte con la messa in funzione del Polizeihaftlager, ilcampo di detenzione e polizia della Risiera di San Sabba.

Il filo della memoria lega anniversari e tragedie in un indissolubile bisogno di fissare i ricordi sulle pagine più buie e tragiche della nostra storia e poter così cercare di costruire assieme un presente più consapevole, un futuro scevro degli errori del passato.

In questa cornice, le proposte promosse dal Comune di Trieste con il sostegno del Ministero della cultura, in un programma denso di significativi appuntamenti “1943-2023. Trame intrecciate di memoria” dal 7 settembre fino al 7 dicembre prossimo.

Proprio a ridosso del drammatico anniversario del 18 settembre, nello spazio del cortile della Risiera di San Sabba, è andato in scena “La notte”. Si tratta di un progetto teatrale ideato dalla compagnia Archivio Zeta, conosciuta per le proprie opere di impegno civile. Dopo vent’anni del suo debutto, lo spettacolo torna a Trieste, ma non più in una sala teatrale, bensì nel contesto emozionante e tragico di uno spazio della città trasformato anche architettonicamente in uno spazio della memoria, per alcune serate vissuto anche attraverso le parole di Elie Wiesel.

L’autore ebreo, morto nel 2016 e già premio Nobel per la pace. Pubblicò la propria memoria sulla shoà con il titolo La Nuit. La profonda riflessione intrecciata con il crudo filo della narrazione diventa così la protagonista dell’opera teatrale.

Sei attori e Wiesel stesso nella proiezione di alcuni brevi riprese fatte in occasione di un’intervista svolta nel 2001, sono qui  un’unica voce dai timbri e caratteri differenti, che sviluppano la trama alla luce di sei flebili lampade. Un copione fra le mani, ricorda ai presenti che le parole sono il frutto di una riflessione arata nel campo della memoria collettiva grazie ad un testo, tradotto ormai in più di trenta lingue in tutto il mondo, monito a chi crede che tutto possa essere dimenticato.

Il tempo della narrazione scorre. Risuonano roboanti i silenzi nella notte, sono sussurrate in modo deciso e grave parole che riscoprono ferite ancora aperte, piaghe mai rimarginate di violenza inaudita, del tutto incomprensibile. Il racconto di vite intrecciate indissolubilmente alla morte, si sofferma su domande teologiche fondamentali. Ma non vi sono risposte; è la domanda ad essere l’unica risposta possibile. E il filo della cronaca autobiografica non si interrompe, pur senza riuscire a rasserenare con un lieto fine, peraltro impossibile.

L’interpolazione drammaturgica e registica di Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti non inaridisce il testo, anzi lo ravviva con la vibrazione di emozioni profonde, che scuotono. Per non dimenticare, mai.

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