Spazio 11, nove mesi di accoglienza notturna a Trieste: un primo bilancio delle associazioni coinvolte
La sala d’attesa solidale nata dalla collaborazione tra Caritas, Donk Humanitarian Medicine e UNHCR si racconta attraverso numeri e storie di chi cerca rifugio dalla strada
Sono passati nove mesi da quando, lo scorso febbraio, ha aperto i battenti Spazio 11, la sala d’attesa solidale al terzo piano di via Udine 11 a Trieste. Un progetto nato dalla collaborazione tra la Caritas diocesana, l’associazione Donk Humanitarian Medicine odv e l’UNHCR – Agenzia ONU per i Rifugiati, pensato come luogo di accoglienza per persone senza dimora, migranti e rifugiati in arrivo nella città di confine.
I numeri raccontano di un servizio che ha trovato rapidamente il suo posto nella rete di assistenza territoriale: almeno 5.000 persone sono passate da questa sala d’attesa solidale, che ogni notte, dalle 20.00 alle 7.00, offre un riparo, una bevanda calda, assistenza sanitaria e orientamento legale. Quasi esclusivamente uomini, ma anche 170 donne e circa 50 bambini tra 0 e 12 anni al seguito delle proprie famiglie.
Un osservatorio sul mondo
Spazio 11 si è rivelato una finestra sul mondo: 50 i Paesi di provenienza delle persone che hanno usufruito del servizio. Afghanistan in testa con il 45%, seguito da Pakistan e Nepal con il 15% ciascuno, Bangladesh con il 10%. Oltre 130 persone sono arrivate dalla Turchia, spesso con tutta la famiglia. Più di 200 vengono dal continente africano, in particolare da Egitto, Algeria, Nigeria, Marocco, Senegal, Somalia, Ghana e Gambia.
Ma il servizio intercetta anche forme di povertà interna: tra gli utenti compaiono 35 persone di nazionalità italiana senza dimora e alcuni cittadini europei stabilmente presenti sul territorio. In alcuni casi si tratta di persone con disturbi psichiatrici e storie di dipendenza, che evidenziano come la categoria di “grave marginalità” attraversi tanto i migranti quanto i cittadini italiani scivolati fuori dalle reti ordinarie del welfare.
L’andamento degli accessi mostra un chiaro processo di strutturazione del fenomeno: si è passati da una media di 31 richieste per notte a febbraio alle 124 di novembre, con un incremento significativo già da agosto. In termini assoluti, ciò ha significato 3.047 richieste di accesso solo nel mese di agosto e 2.965 a ottobre.
La rete di cura
L’ambulatorio medico presente in Spazio 11 rappresenta un tassello fondamentale del servizio. Da febbraio a ottobre, Donk HM odv ha effettuato 964 visite grazie all’impegno di oltre 80 volontari medici. Le persone visitate sono soprattutto uomini (95%), con oltre la metà di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Il motivo delle visite riguarda in particolare la medicina interna (31%), seguita da patologie dermatologiche (19%) e richieste di supporto psicologico.
Sul totale delle visite, il 10% è stato rinviato a visite specialistiche: il 60% dei casi agli stessi ambulatori socio-sanitari gestiti da Donk HM odv, mentre il restante 40% è stato preso in carico dal Servizio Sanitario Regionale (31%) e dal Medico di Medicina Generale (9%).
Il personale di UNHCR ha supportato i richiedenti protezione internazionale, offrendo informativa legale e orientamento. Particolare attenzione è stata rivolta all’individuazione delle persone con esigenze specifiche: circa 250 minori non accompagnati sono stati accompagnati a Spazio 11, ricevendo counseling specifico.
Storie di chi cerca un riparo
S., 24 anni, di cittadinanza afghana, arrivato in Italia dopo un mese di viaggio, trascorreva le giornate dormendo vicino alla stazione: “Il problema è che non ho un posto per dormire… mi fanno male anche i piedi”. Quando ha scoperto Spazio 11, ne ha parlato come di un luogo in cui, per la prima volta dopo molte settimane, poteva dirsi “tranquillo… è un posto sicuro”. Ha così potuto elaborare un progetto di vita: ora ogni mattina frequenta un corso di italiano al centro diurno e si è posto un obiettivo preciso: “Prima studiare, poi lavorare e avere un futuro sicuro qui in Italia”.
La traiettoria di M., 45 anni, italiano, è diversa. Operaio specializzato, aveva una casa, una compagna, tre figli. Una serie di eventi critici – separazione conflittuale, vendita della casa, perdita dei beni, morte per incidente della compagna – hanno prodotto una spirale discendente fino alla strada. M. dice “non voglio vivere”, ma quando parla dei figli un barlume di vita accende i suoi occhi. Di Spazio 11 parla come di un luogo “accogliente” in cui si sente “libero”, dove percepisce operatori “buoni” che lo fanno “sentirsi di nuovo persona”. Dopo alcune settimane, accolto e accompagnato, ha iniziato a cercare lavoro.
Un progetto senza fondi pubblici
L’iniziativa non gode di sovvenzioni pubbliche né di convenzioni con soggetti pubblici. Nella fase di avvio è stata supportata dalla Fondazione CRTrieste e da IKEA Villesse, che ha donato parte degli arredi. Attualmente continua a essere sostenuta dai Fondi dell’8×1000 della Chiesa Cattolica per le emergenze. Operatori e volontari offrono il proprio tempo mettendo in comune le competenze per garantire un accompagnamento lungo tutto l’arco dell’anno.
Come ha sottolineato monsignor Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste, durante la conferenza stampa di lunedì 1° dicembre: “Spazio 11 è pure un bene della città: sia perché esprime il volto bello della collaborazione solidale di diverse realtà del nostro territorio, sia perché tante persone vulnerabili vengono accudite e sottratte al pericolo di cadere nell’influsso malefico della criminalità capace di approfittare di chi si sente senza alcun appoggio”.
Padre Giovanni La Manna, direttore della Caritas diocesana di Trieste, ha aggiunto: “Non vogliamo limitarci a offrire un posto caldo, ma vogliamo essere segno di una città che non volta lo sguardo. Trieste può e deve essere una città che accoglie, che si prende cura, che costruisce relazioni”.
Daniele, referente di Spazio 11 di Caritas che ha avuto esperienza nei campi di transito in Bosnia, definisce Spazio 11 e il dormitorio come “rifugi”, “posti dove le persone vengono a riposare”. Alla domanda su tre parole che descrivano questi luoghi, risponde: “Accoglienza, posto sicuro, condivisione”.
La normalità, in un contesto in cui di normale non c’è nulla, viene ricostruita attraverso gesti semplici: letti puliti già pronti all’arrivo, una cena servita, qualche parola scambiata, giochi con i bambini, qualche lezione informale di italiano. Sono le piccole cose – come ricordarsi che a quella signora non piace la pasta e darle due contorni – che fanno sentire le persone viste, riconosciute, chiamate per nome: è la cura che riaccende la speranza.
(Immagine dalla pagina Facebook di DONK)

