Banconote da 500 euro attraverso i valichi del Nord Est: punta dell’iceberg di maxi frode fiscale

Gorizia – La Compagnia della Guardia di Finanza di Gorizia, a seguito di indagini di polizia giudiziaria, ha scoperto una maxi frode fiscale effettuata da una banda di 39 persone, domiciliate tra le province di Brescia, Bergamo, Roma, Milano, Monza Brianza, Verona, Padova, che ora sono state denunciate a vario titolo per emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta, occultamento di scritture contabili, omesso versamento di I.V.A. e riciclaggio.

Le indagini, dirette dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia, hanno avuto inizio nel marzo 2015, a seguito del fermo, avvenuto a Gorizia, presso il valico di confine “San Pietro”, di tre persone provenienti dalla Slovacchia, che dopo aver riferito ai finanzieri di detenere solo poche decine di euro, sono stati sorpresi con denaro contante per 271.830 euro, composto prevalentemente da banconote da 500 euro nascoste sotto il sedile del conducente, senza la prescritta dichiarazione valutaria, obbligatoria nel caso in cui si importi una somma pari o superiore a 10.000 euro.

Le successive attività investigative, condotte tra l’altro mediante l’esecuzione di 46 decreti di perquisizione domiciliare e locale con l’impiego di 120 militari, accertamenti bancari su 82 conti correnti italiani ed esteri, l’approfondimento di 24 segnalazioni di operazioni sospette, l’accesso a 6 cassette di sicurezza, hanno permesso di accertare l’emissione di fatture false per 44.591.840,80 euro da parte di nove società estere, di cui una con sede in Ungheria e otto in Slovacchia, in particolare nel centro storico di Bratislava, “Stare Mesto” (da qui il nome in codice dell’indagine).

Le fatture, al fine di frodare il fisco e pagare ingiustamente meno imposte, sono state contabilizzate come fittizi costi d’esercizio negli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, da parte di 25 imprese attive nel settore della compravendita dei metalli ferrosi, con sedi operative nelle province di Brescia, Bergamo, Verona, Roma, Livorno, Padova, Napoli, Monza Brianza.

Alcuni dei denunciati, quasi tutti di nazionalità italiana ed in alcuni casi già gravati da specifici precedenti penali e di polizia, sono risultati amministratori o soci delle imprese estere fittizie che funzionavano come “cartiere” per emettere le fatture inesistenti, predisporre falsi documenti di trasporto e ordini di acquisto, nonché aprire conti correnti presso istituti di credito con sede in Slovacchia e Ungheria, dove accreditare il denaro relativo agli acquisti inesistenti di materiali ferrosi da parte delle società italiane.

Come emerso dalle indagini finanziarie, le somme trasferite all’estero sono state sistematicamente prelevate in contanti da contrabbandieri di valuta (in gergo “spalloni”) come quelli fermati nel marzo 2015 a Gorizia ed introdotte nel territorio nazionale per importi in alcuni casi fino a 400.000 euro, attraverso i valichi di confine delle province di Gorizia, Udine e Trieste, in violazione della normativa sull’importazione della valuta dall’estero ed al fine di aggirare le disposizioni antiriciclaggio.

Il meccanismo fraudolento ricostruito e bloccato dalla Guardia di Finanza di Gorizia può essere descritto attraverso le seguenti fasi: alcuni degli indagati costituiscono in Slovacchia e Ungheria società consistenti in meri recapiti, prive di reali strutture operative e senza dipendenti; le società estere effettuano finte vendite di materiali ferrosi alle imprese italiane compiacenti che contabilizzano tali acquisti quali costi d’esercizio inesistenti; le imprese acquirenti, al fine di giustificare sul piano finanziario le fittizie operazioni commerciali, dispongono i pagamenti tramite bonifico sui conti correnti accesi presso gli istituti di credito esteri; gli importi accreditati all’estero rientrano in Italia tramite i contrabbandieri di valuta per eludere la normativa valutaria e antiriciclaggio.

Al termine delle indagini è stata formulata all’Autorità giudiziaria competente una proposta di sequestro preventivo per “equivalente” per l’ammontare di 13.644.830 euro per cautelare i beni che rappresentano il provento ed il profitto dei reati per cui si procede.

L’Autorità Giudiziaria, infine, ha concesso l’autorizzazione all’utilizzo ai fini fiscali ed amministrativi dei dati e delle notizie acquisite nel corso delle indagini di polizia giudiziaria al fine di permettere la contestazione anche sul piano tributario e amministrativo dei fatti accertati in ambito penale.

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