Consumo di suolo: FVG maglia nera a Nordest con 500 mq di cemento per abitante

FVG – È uscita l’edizione 2021 del Rapporto su consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, curato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), che vede l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) insieme alle Agenzie per la protezione dell’ambiente delle Regioni e delle Province Autonome (ARPA/APPA), in un lavoro congiunto di monitoraggio.

Dal rapporto emerge che il Nord Est è una delle aree a più elevato consumo di suolo; nell’ambito della macroregione, tuttavia, il Friuli Venezia Giulia ha presentato il minore incremento tra il 2019 ed il 2021.
In termini invece di suolo consumato pro capite, la nostra Regione è maglia nera con oltre 500 metri quadrati di suolo consumato per abitante. I tre comuni più cementificati sono Monfalcone con il 45,9% del suolo consumato, Udine con il 42,4% Pordenone con il 40,6%.

I dati di quest’anno – si legge nel Rapporto – confermano la criticità del consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane, in cui si rileva un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali, con un aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali.

Il consumo di suolo, il degrado del territorio e la perdita delle funzioni dei nostri ecosistemi continuano a un ritmo non sostenibile e, nell’ultimo anno, quasi due metri quadrati ogni secondo di aree agricole e naturali sono stati sostituite da nuovi cantieri, edifici, infrastrutture o altre coperture artificiali.

Il fenomeno, quindi, non rallenta neanche nel 2020, nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, con più di 50 chilometri quadrati persi, anche a causa dell’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale.

Le conseguenze sono anche economiche: i “costi nascosti”, dovuti alla crescente impermeabilizzazione e artificializzazione del suolo degli ultimi 8 anni, sono stimati in oltre 3 miliardi di euro l’anno che potrebbero erodere in maniera significativa, ad esempio, le risorse disponibili grazie al programma Next Generation EU.

Le aree perse in Italia dal 2012 avrebbero garantito la fornitura complessiva di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori.

Nello stesso periodo, la perdita della capacità di stoccaggio del carbonio di queste aree (circa tre milioni di tonnellate) equivale, in termini di emissione di CO2, a quanto emetterebbero oltre un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020: un totale di oltre 90 miliardi di chilometri percorsi, più di 2 milioni di volte il giro della terra.

Gli scenari futuri

Una valutazione degli scenari di trasformazione del territorio italiano, nel caso in cui la velocità di trasformazione dovesse confermarsi pari a quella attuale anche nei prossimi anni, porta a stimare il nuovo consumo di suolo in 1.552 km quadrati tra il 2020 e il 2050. Se invece si dovesse tornare alla velocità media registrata nel periodo 2006-2012, si sfiorerebbero i 3.000 km quadrati.

Nel caso in cui si attuasse una progressiva riduzione della velocità di trasformazione, ipotizzata nel 15% ogni triennio, si avrebbe un incremento delle aree artificiali di oltre 800 km quadrati, prima dell’azzeramento al 2050.

Sono tutti valori molto lontani dagli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 che, sulla base delle attuali previsioni demografiche, imporrebbero un saldo negativo del consumo di suolo. Ciò significa che, a partire dal 2030, la “sostenibilità” dello sviluppo richiederebbe un aumento netto delle aree naturali di 318 km quadrati o addirittura di 971 km quadrati che andrebbero recuperati nel caso in cui si volesse anticipare tale obiettivo a partire da subito.

Considerando i costi annuali medi dovuti alla perdita di servizi ecosistemici, sia per la componente legata ai flussi, sia per la componente legata allo stock, si può stimare, se fosse confermata la velocità media 2012-2020 anche nei prossimi 10 anni e quindi la crescita dei valori economici dei servizi ecosistemici persi, un costo cumulato complessivo, tra il 2012 e il 2030, compreso tra 81,5 e 99,5 miliardi di euro, praticamente la metà dell’intero Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Foto Pixabay

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