La Sertubi perde una commessa a causa di nuove norme su Made in Italy: appello dei dipendenti

Trieste – I dipendenti dello stabilimento Sertubi di Trieste hanno lanciato un appello allo Stato perché intervenga nella questione del marchio “Made in Italy” da mettere sui tubi prodotti in India e rifiniti a Trieste.

Lo stabilimento produttivo, di proprietà della Jindal Saw Italia Spa, che fa parte del gruppo Jindal Saw con sede in India, apporta essenziali modifiche ai tubi grezzi che vengono fatti in India.

Per le nuove norme dell’Unione Europea sul trattamento dei prodotti rifiniti, la dicitura “Made in Italy” sui prodotti lavorati in Italia non è stata accettata dall’Agenzia delle Dogane.

Il passaggio è di vitale importanza per l’avvio di una grossa commessa venuta dall’Iraq. Per motivi doganali, è essenziale che i prodotti importati dall’Iraq abbiano la certificazione “Made in Italy”.

La perdita della commessa mette in ginocchio la Sertubi, che si vedrebbe costretta a licenziare metà dei dipendenti.

Nei giorni scorsi l’ex presidente della Regione Debora Serracchiani, ora deputata al Parlamento, aveva sollecitato il Ministero: ”Il Mise si attivi nei confronti della Commissione europea affinché sia avviata la procedura per la modifica della regola UE che attualmente impedisce l’apposizione del marchio Made in Italy per i prodotti della Sertubi”.

Questo il testo dell’interrogazione presentata dall’on. Serracchiani al Ministero dello Sviluppo economico, finalizzata a permettere che il sito della Sertubi di Trieste possa continuare a essere sede per la rifinitura e la distribuzione nel mondo di tubi semilavorati importati dall’India, mantenendo la prerogativa di utilizzare il marchio Made in Italy.

“Anche su impulso della Regione Friuli Venezia Giulia – ha ricordato Serracchiani – svariati incontri si sono tenuti a Roma presso il Mise e a Trieste con i vertici dell’azienda e i rappresentanti dei lavoratori, intesi a dare esito positivo alla situazione di rischio in cui si è venuta a trovare Sertubi nel corso degli ultimi anni. Adesso siamo di fronte al più difficile dei passaggi e dobbiamo unire le forze per evitare che Trieste perda questa realtà produttiva e i posti di lavoro” .

“Si tratta di modificare la regola primaria – ha spiegato Serracchiani –  prevista dal Regolamento Delegato della Commissione Europea n. 2446/2015, per la voce doganale che classifica i tubi di ghisa duttile semilavorati, cosicché le lavorazioni eseguite siano riconosciute sufficienti a riconoscere l’origine non preferenziale e quindi all’apposizione del “Made in Italy” per il prodotto realizzato dalla Sertubi di Trieste. I tubi che Jindal importa dall’India, infatti, sono sottoposti in Italia a numerose e sostanziali lavorazioni, volte a ottenere tubi in ghisa rivestiti sia internamente che esternamente, da utilizzarsi per l’approvvigionamento di acqua potabile, smaltimento di acque reflue e irrigazioni. Il marchio Made in Italy sarebbe abbondantemente giustificato”.

Per Serracchiani “l’interpretazione delle norme europee non è univoca e soprattutto queste norme non sono dei blocchi di granito inamovibili. L’Italia può e deve intervenire al più presto presso la Commissione europea. I lavoratori della Sertubi hanno dimostrato una tenacia ammirevole e una capacità di sostenere le loro ragioni facendole coincidere con quelle della città: tutte le istituzioni, forze sociali e politiche devono continuare a battersi con loro e per loro”.

La parlamentare ha anche chiesto al Ministero del Lavoro che “sia presa in considerazione la richiesta delle Rappresentanze sindacali di garantire una dotazione di ammortizzatori sociali sufficiente a coprire il periodo di cui Bruxelles ha bisogno per rideterminare i codici”.

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