Licenziata per non aver voluto sottoporsi al tampone: la storia di una operatrice sanitaria del SSR

Trieste – Licenziata dopo essersi rifiutata di sottoporsi al tampone: lo racconta una operatrice sanitaria di Trieste, di cui non faremo il nome per proteggere la sua privacy.

Ci racconti brevemente cosa è successo

Un giorno di metà settembre il mio coordinatore mi anticipa che sarà richiesto lo screening a mezzo tampone e infatti, qualche giorno dopo, mi arriva una mail del nostro responsabile che cita: “la direzione di Asugi, in seguito alla ricomparsa di focolai Covid-19 in strutture per anziani, invita i gestori di strutture residenziali e semiresidenziali accreditate a monitorare i propri collaboratori con screening mediante tampone, con frequenza da definirsi. Si invita il personale a collaborare”.

E lei cosa risponde?

Rispondo, via mail, che non intendo sottopormi a tampone nasofaringeo innanzitutto per problemi di ipersensibilità alla zona ma anche per l’alta inattendibilità del metodo diagnostico.

A suo avviso non dovrebbe essere utilizzato il tampone per testare i possibili casi positivi di Covid-19?

Non lo dico io, lo aveva detto il recentemente scomparso Dottor Kary Mullis, l’inventore del test RT-PCR (tecnica utilizzata per l’analisi del campione biologico tramite tampone). È riportato chiaramente anche sul fogliettino (il “bugiardino”) che si trova nella confezione, che dice: “il tampone non dev’essere usato come strumento diagnostico ma di analisi, solamente per la ricerca”. Usato in maniera impropria dà, di conseguenza, un’altissima percentuale di errore: addirittura fino al 93-95 % di falsi positivi, secondo numerosi esperti.

In tv e sui giornali non sentiamo, non leggiamo questi dati; lei come li ha? Li ritiene attendibili?

Innanzitutto lo dice la logica medica: se un metodo non è stato creato per quello scopo, è normale che non potrà dare il risultato cercato. In secondo luogo lo hanno dimostrato ormai tantissimi studi che, purtroppo, non sono mai stati presi in considerazione dal Ministero della Salute. Infine, le varie criticità che sto riportando sono evidenziate su alcuni documenti del CTS (Comitato tecnico scientifico), dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità), della Commissione Europea e di istituti come i CDC (Centers of Desease Control) negli Usa. Su alcuni di essi sono riportati anche altri dati allarmanti, ad esempio: moltissimi tipi di tampone non sono ancora stati validati; il test RT-PCR è in grado di trovare qualsiasi tipo o frammento di virus simile; secondo alcuni ricercatori – e questa forse è la notizia più inquietante – ad oggi, quello che viene definito Gold Standard (“metodo diagnostico riconosciuto e validato dagli organismi internazionali per rivelare la presenza del virus SARS-CoV-2 in un individuo infetto” ndr.) avrebbe delle manchevolezze.

Bastava leggere, dunque?

Se sono le stesse Istituzioni e gli organi competenti in materia a dirlo, anzi a scriverlo, perché non dovremmo fidarci?

Cos’è successo dopo il primo avviso via mail?

Passano alcuni giorni e ricevo una seconda mail, questa volta di sospensione cautelare, non disciplinare, per violazione dei doveri di diligenza ed obbedienza del lavoratore subordinato in merito agli obblighi del lavoratore in relazione a salute e sicurezza sul luogo di lavoro, e violazione delle direttive dell’autorità sanitaria.

A questo punto lei cosa ha fatto?

Allerto il mio sindacato privato il quale si accorda per un incontro tra le parti. In audizione confermo le mie ragioni di rifiuto, richiedendo la normativa di riferimento in base alla quale ci sarebbe l’obbligo di sottoporsi a tampone. Alla fine non si riesce a raggiungere un accordo. Una decina di giorni dopo ricevo, via PEC, il provvedimento di licenziamento disciplinare per “giusta causa” da parte del mio datore di lavoro (sanzione prevista dall’art.140 CCNL per chi commetta violazioni degli obblighi in materia di sicurezza del lavoro).

Ha quindi deciso di impugnare il provvedimento

Sì, tramite il sindacato e su consiglio di un avvocato di fiducia. In base alle disposizioni del protocollo regionale, per effettuare test microbiologici per la ricerca del Covid-19 al personale di strutture per anziani e RSA, si legge: “si consiglia” di sottoporsi al tampone “nella maggior parte dei casi”; da ciò ne consegue, chiaramente, la facoltatività e non l’obbligo coatto e discriminatorio tale da portare addirittura al licenziamento del lavoratore. Ma questa è una questione di cui si occuperà il mio legale.

(A cura di Daniele Benvenuti)

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