Stiamo perdendo umanità?
Trieste – Stiamo perdendo umanità. Senza punto interrogativo e in forma più assertiva: così si è espresso in questi giorni don Luigi Ciotti, commentando quanto sta accadendo nei teatri di guerra globali, in preoccupante escalation. Facendosi carico, per quanto possibile, delle palesi violazioni dei diritti umani compiute da entità politiche impietose: dalle stragi degli innocenti alle deportazioni — termini orrendi, ereditati dai periodi più bui della storia — fino alle reclusioni immotivate, come quella dell’operatore umanitario italiano Alberto Trentini.
E qui possiamo entrare in scena tutti, a patto che non cali il sipario sulla nostra autocoscienza. Altrimenti si rischiano ulteriori scivolamenti, come scrisse la filosofa Hannah Arendt, autrice del libro La banalità del male:
La morte dell’empatia umana è uno dei primi e più rivelatori segni di una cultura sull’orlo della barbarie.
La difesa d’ufficio, di solito, si staglia nel proverbiale: “Ma io che c’entro?” Cade bene, a questo proposito, il commento della professoressa Maria Elena Granata, esperta di cittadinanza attiva: “Io penso. Io sento. Io faccio. Io decido. Io comunico. Io mi sdegno. Io. Io. Abbiamo a cuore la salute, ma non ci mobilitiamo per la salute. Abbiamo a cuore la scuola, ma non ci mobilitiamo per la scuola. Abbiamo a cuore il benessere personale, ma non ci mobilitiamo per l’ambiente. Tutto inizia e finisce con la nostra persona, priva di reti, di relazioni, di contesto, di appartenenza”.
Eppure esiste un “farmaco” non chimico a questa condizione: la vicinanza.
Farsi vicini, ricevere vicinanza, promuoverla. Vedersi, guardarsi negli occhi, incontrarsi, perdere tempo a parlarsi — magari persino a capirsi — ascoltarsi. Imparare gli uni dagli altri.
Se non si resta impigliati nella prigione dell’ego, la vicinanza crea le condizioni per una possibile risalita, come sta accadendo grazie al movimento Standing Together, che riunisce cittadini israeliani e palestinesi in marcia per rimuovere la valanga di odio che li divide. Due i leader: lui israeliano, lei palestinese, convinti che la sicurezza dei popoli non abiti nelle regioni della violenza, né quella dei terroristi né quella di uno Stato. E ogni giorno cresce il numero di persone che scende in strada per camminare insieme.
A dimostrazione che anche una mossa minima può dare un segnale, specie quando ci sono di mezzo oltraggi vistosi, causati dalla perdita di umanità.
Ricordo infatti di aver visto un giovane triestino, praticante di jogging, che correva in centro città con una scritta originale sulla maglietta:
Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.
Una frase famosa di Gandhi, profeta della non violenza. E non è davvero poco anche solo pensarlo e poi dirlo a tutti, scrivendolo su una semplice maglia sportiva.
(Immagine: foto vincitrice del Premio Luchetta 2024)