Giornate Cinema Muto: Landis, il cinema è un’arte ancora molto nuova

Pordenone – Le cosa che ci si dimentica “è quanto sia ancora nuova l’arte del cinema, il suo sviluppo è recentissimo, rispetto ad altre come la pittura o la scultura”.

Ci colpisce quanto la settima arte “sia cambiata velocemente, e guardando ai film muti è incredibile il mondo nel quale geni come Griffith nei abbiano creato il linguaggio.

Secondo me nel 1916 i film avevano già lo stesso valore di quelli di oggi”.

Parola di John Landis, tornato fra gli ospiti dell’edizione 2022 delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone (1 – 8 ottobre) insieme alla moglie costumista, Deborah Nadoolman Landis, direttrice del David C. Copley Center for Costume Design dell’Ucla, che inaugura al festival una serie annuale di conferenze dedicate al tema dei costumi nel cinema muto Il cineasta, intervenuto solo alla fine della conferenza stampa della moglie, moderata dal direttore delle ‘Giornate del cinema muto, Jay Weissberg, spiega quanto sia stato importante per lui conoscere e frequentare i pionieri del cinema: “Ho iniziato a lavorare nel cinema quando molti di loro, come Hal Roach o King Vidor erano ancora vivi ed erano a Los Angeles.

Mi sono fatto raccontare come lavorassero”. Il regista, rispondendo a una domanda su come sia riuscito a controllare sul set uno dei protagonisti più amati del suo cinema, John Belushi, spiega che “John era un persona straordinaria, non va identificato con i suoi personaggi”.

Landis accenna anche ai problemi dell’attore: “Quando abbiamo realizzato Animal House era libero delle dipendenze, ma sfortunatamente quando abbiamo girato insieme The Blues Brothers, era tossicodipendente dalla cocaina, e ciò porta a bere e ad altre conseguenze. Chiunque conosca le dipendenze sa che l’unico capace di controllarle è la persona stessa, non si può intervenire dall’esterno”. John “era una persona di grande talento, amabile e dolce, adoravo lavorare con lui”.

Tornando al rapporto fra costumi e cinema, “tutto quello che si indossa davanti a una cinepresa diventa un costume – spiega -. Io sono stato molto fortunato ad avere Deborah con me come costumista. Si occupava anche delle comparse perché anche i loro colori, le cose che indossano, contano”.

Foto: Ansa.

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