Il paradosso della scuola a distanza: istruzione o libertà?

Il paradosso
Il generale stravolgimento provocato dal Covid-19, com’è noto, ha avuto conseguenze nefaste su tutta la società, ma ha generato una situazione paradossale soprattutto nella scuola.
Perché l’unico e più urgente rimedio alla sospensione delle lezioni, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, è la didattica a distanza, ovvero la negazione della didattica tradizionale, quella in presenza, quotidiana, articolata su un contatto diretto e immediato.
Un contatto che comprende una serie di corollari che a distanza non possono essere controllati o praticati. Per esempio attenzione e concentrazione, risposte didattiche tempestive, correzioni puntuali e precise e una comunicazione perfezionata da azioni e reazioni che si basano anche su espressioni corporee e su un’oralità non condizionata dall’umore della rete, sia elettrica che del web.
L’emergenza del virus ha imposto la tele-lezione e, nello stesso tempo, ha messo a nudo la situazione reale dei settori vitali della nazione, colti alla sprovvista e obbligati a soluzioni rapide. Il virus ha dimostrato che la scuola è un servizio sociale insostituibile, e ha anche confermato che in Italia gli investimenti nell’istruzione (come per la sanità) sono stati ridotti gradualmente già da molti decenni: siamo gli ultimi in Europa per i fondi alla scuola. Lo ricordano la situazione degli ospedali e le dimissioni del ministro Fioramonti.
E lo dimostrano anche gli 85 milioni di euro che il governo ha dovuto stanziare con urgenza per dotare le scuole di piattaforme e strumenti digitali per l’apprendimento a distanza e per formare i docenti su metodi e tecniche per la didattica a distanza (DAD), per colmare una carenza che comprende istituti scolastici e famiglie.
Lo stanziamento – se, quando e come arriverà – trova insegnanti, alunni e famiglie che hanno stravolto le abitudini di vita e la forma della comunicazione scolastica.

Mediare l’immediatezza
La DAD esige una comunicazione mediata dalle tecnologie telematiche e digitalizzate, ma i contenuti, invece, rimangono calibrati su una comunicazione immediata e diretta.
Questo è il nodo attorno al quale si attorcigliano botte e risposte tra pedagoghi, ministri, genitori, insegnanti, dirigenti, giornalisti, opinionisti, esperti di comunicazione, sindacalisti e presto, certamente, anche qualche master chef.
Indipendentemente dalle discussioni, quanto accade in questi giorni è stato costringere la libertà e l’umanità dell’istruzione nelle piattaforme digitali implementate dalle scuole e imposte come unica soluzione praticabile.
A esempio, nelle scuole vanno per la maggiore Google Suite for Education e Microsoft, piattaforme di tutto rispetto tecnologico, non fosse che sono due colonne portanti di quello che è definito l’impero di GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) sui cui l’antitrust USA sta indagando per killer acquisition, ovvero per l’acquisizione sospetta di piccole startup. Google e Microsoft, da sole filtrano, modellano e distribuiscono il 75% dell’informazione mondiale, oltre a memorizzare ogni nostro accesso e movimento nella rete.
Tanto per chiarire le posizioni, la ministra Azzolina ha recentemente diramato una circolare con il link a un suo discorso su Facebook e il primo ministro Conte può calcolare quante persone lo guardano e lo gradiscono con i like tributati e i numeri delle persone collegate.

Controllori e controllati
Non era un mistero, prima di Covid-19, che siamo tutti controllabili o controllati. Ma dopo le severe restrizioni sugli spostamenti, la tracciabilità immediata dei cittadini e il loro controllo tramite cellulare o drone, anche il registro elettronico sembra un giochino per ragazzi.
Nel complesso, tra didattica a distanza e tracciabilità da Covid-19, risulta che simili misure non furono prese nemmeno all’indomani dell’11 settembre 2001.
La sorveglianza pervasiva di Google e Facebook rappresenta un pericolo senza precedenti per i diritti umani, dicono ad Amnesty International. E Noi ci siamo dentro.
Eppure il Miur raccomanda questi protocolli come unica, emergenziale soluzione, in accordo con la Commissione europea il cui intento è quello di sviluppare un mercato unico digitale che avrà come beneficiari i partner commerciali che offrono i propri servizi a costi molto contenuti – perché la contropartita è l’acquisizione di dati personali – o gratuiti con la formula del freemium: la piattaforma base è gratuita ma le espansioni sono a pagamento.
Quanto si prospetta è una torsione – forzata e inevitabile? – del sistema educativo che investe docenti, studenti e famiglie, insegnamento e apprendimento, modi e contenuti, per obbligarli a una digitalizzazione della conoscenza che ha tre importanti conseguenze: 1: mette in dubbio la libertà (anche) di insegnamento, perché questi canali costituiscono una forma di controllo capillare e costante. 2: questi canali sono messi a disposizioni da multinazionali private che sono anche potenti gruppi economici sottoposti alle leggi del mercato globale e alla compravendita di dati. 3: il rischio di disumanizzazione e distacco che queste pratiche comportano.
Senza contrare il dubbio che avvolge tutto a priori: se ci possa essere oppure no una relazione educativa pedagogicamente produttiva senza un rapporto in presenza e senza la necessaria preparazione.
E senza contare che molti studenti lamentano, al momento, di essere sovraccaricati di compiti da insegnanti che hanno l’evidente ansia per essere incalzati da una serie di incognite di non facile risoluzione.

Controindicazioni, urgenze, problemi
Infatti, In nome dell’emergenza, per ora la DAD provoca una lunga serie di controindicazioni: senso di straniamento, la conversione dei docenti in attori di lezioni e impiegati da terminale, degli studenti in video spettatori per lunghissime ore, la mancanza di socialità, di confronto, di contenimento, di orientamento e un sovraccarico di lavoro e di stress per tutti. Una serie di urgenze: i programmi e l’anno da concludere, la maturità, le direttive vaghe e improvvisate del ministero e le conseguenti raccomandazioni dei dirigenti scolastici, il senso civico e morale che alberga in ognuno.
E poi i problemi: la garanzia che i dati personali siano trattati secondo le leggi sulla privacy; la revisione dei programmi e degli obiettivi formativi per le nuove modalità di lavoro; il sostegno agli alunni disabili; il supporto per dsa (disturbi specifici dell’apprendimento) e bes (bisogni educativi speciali), la fornitura di adeguati dispositivi. In ultimo l’enorme e problematica esigenza della valutazione a distanza.
Per ora, tutto è lasciato in sospeso in attesa dei decreti che dovrebbero regolamentare una situazione che, si dice, non si verificava dalla fine del secondo conflitto mondiale. Evidentemente la Storia non ha insegnato granché alla politica.
Oppure sì? Rendere curricolare la didattica a distanza rappresenterebbe, oltre al controllo del sapere e delle coscienze, un enorme risparmio economico sugli edifici e sul personale. E poi dicono che il Corona virus, una volta passato, non ci cambierà…

Roberto Calogiuri

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