“Le fate non ballano più come sorelle”: dialoga con noi l’autrice Edda Fonda

Ci sono contenuti che vorremmo approfondire e aspettiamo l’occasione giusta. La lettura del libro “Le fate non ballano più come sorelle” di Edda Fonda è stata una di queste. Di Caterina Percoto e di tutta la tradizione culturale che ruota intorno a lei ne avevo solo ascoltato le narrazioni da mia bis-nonna, ed ero molto piccola. Come ben ricordano le parole di PP. Pasolini nella seconda di copertina “Ci voleva il lirismo della Percoto e del Nievo per dipingere poeticamente il Friuli”. Ma chi ha scritto questo libro?

Edda Fonda, di origine istriana, laureata a Trieste in scienze politiche, ha svolto la sua attività professionale a Milano nel campo dell’editoria come ricercatrice iconografica e redattrice prima, poi come autrice.
Tra i suoi libri, le biografie di Vincent Van Gogh e di Odilon Redon e frutto di un lavoro di ricerca alla scoperta di figure femminili significative e poco conosciute, “Il percorso umano e letterario di Beatrice Speraz” per la Società istriana di archeologia e storia patria e “Posso sempre pensare, storia di Leda Rafanelli”, romanzo storico segnalato dalla XXVI edizione del premio Calvino. Sono presenti suoi contributi in opere collettive quali il Dizionario biografico delle donne lombarde, edito da Baldini Castoldi e Le donne nel movimento anarchico italiano, Mimesis Edizioni. Mossa da curiosità, abbiamo approfondito il percorso di conoscenza direttamente con l’autrice.

“Le fate non ballano più come sorelle” é un libro, che già dal titolo, ci trasporta in una dimensione antropologica legata al folclore.
Il titolo è tratto da una leggenda dove le fate di due nazioni confinanti amano incontrarsi ai piedi di un monte all’alba, quando la natura è silenziosa, per chiacchierare amichevolmente e ballare nel prato. Ma la protagonista del libro estrae dalla leggenda queste mitiche figure per immaginarle in un momento diverso: quando il loro rapporto armonioso non è più possibile, perché le loro nazioni sono in guerra.

Ci racconta dell’urgenza di scrivere questo libro?
Prima dell’urgenza c’è stata la curiosità. Doppia: verso gli anni del Risorgimento e verso la donna che è diventata la protagonista di questo libro. Del Risorgimento sapevo quel poco che resta nella mente di quanto si è studiato a scuola sulle guerre d’indipendenza da cui è nata l’unità d’Italia; di Caterina Percoto sapevo che aveva scritto delle novelle, molte delle quali parlavano di quelle guerre. Mi venne voglia di scriverne, dopo essermi documentata leggendo le sue novelle, le sue tante lettere, le tracce di conversazioni che aveva lasciato. Sentivo che c’era molto da dire, che scrivendo delle sue vicende e del suo temperamento si potevano capire tante cose di quel periodo e delle condizioni in cui vivevano le donne nell’Ottocento.
Una microstoria può far capire cose che nella Storia con la esse maiuscola non emergono, cose che rendono più caldo e più vicino a noi il passato.

Il suo legame con il Friuli, terra di confine, è evidente. Cosa ci dice?
Caterina Percoto ha abitato in una terra di confine, il Friuli, che allora faceva parte dell’impero austro-ungarico. Anche questa è stata una molla per spingermi a scrivere di lei. In molti suoi stati d’animo mi sono identificata. Io che ho vissuto in Istria, terra di confine in anni di conflitto, durante la mia infanzia. Desiderare l’Italia è un sentimento molto forte quando, per contese e guerre tra stati, il luogo dove nasci viene attribuito a una nazione straniera. Mi è stato facile capire la gioia e l’emozione che la Percoto provò andando a Torino dal suo remoto Friuli con mezzi di fortuna o quando poté fare un viaggio a Roma, da poco divenuta capitale della nuova Italia.
La Percoto ama molto descrivere i costumi, le ricorrenze, le usanze del Friuli, la sua cultura insomma. E nelle descrizioni, la natura ha un ruolo fondamentale, è qualcosa di più di uno sfondo, è un tutt’uno con l’animo dei suoi abitanti.

Chi è per lei Caterina Percoto, cosa rappresenta, che donna è?
Per me rappresenta la donna che sa “leggere” la società del suo tempo, ne vede pregi e difetti, e riesce a comunicarci la sua visione del mondo attraverso storie minute, di gente che vive in campagna come lei; racconta di una comunità laboriosa che ha il gusto di ritrovarsi unita nelle feste rituali, ma mette anche in rilievo le ingiustizie che vi sono: le condizioni di indigenza dei contadini, lo stato di soggezione di molte donne alle decisioni di altri, siano padri, fratelli o mariti.
Ho ammirato la sua personalità, la sua coerenza, il coraggio nell’affrontare situazioni difficili. La sua vita, non solo le sue novelle. Caterina non teme la censura delle autorità austriache quando scrive articoli che denunciano le violenze dei soldati avversi, venuti a occupare il Friuli, nei confronti dei civili inermi; o quando accoglie a vivere con sé tre nipotini rimasti improvvisamente soli dopo la morte del padre; o quando ancora eredita un fondo agricolo gravato dai debiti e lei, che nasce contessa, mette da parte la scrittura per rimboccarsi le maniche e svolgere lavori umili e nello stesso tempo studiare per far rendere la sua proprietà.

Cosa vorrebbe restasse impresso a chi legge il suo libro ?
Il suo esempio di vita, improntata a valori che sono sempre validi; la libertà di pensiero di cui lei ne era un esempio; l’anticonformismo, inteso come distanza dalle mode, oltre all’amore e al rispetto per la natura.

Ci evidenzia un passo del libro che in modo esplicito evidenzia questo antico legame fra “fate sorelle”?
Riportando una leggenda della sua terra la Percoto scrive: “Corre voce venissero un tempo a ballare le fate di Germania…sedute su una fila di nuvole d’oro e d’argento, scendevano ondeggiando di cima in cima…volavano fino al praticello della Tenca, dove ad aspettarle c’erano le fate carniole e le fate friulane…dove le gonne o i piedini leggeri lo toccavano, il prato d’incanto fioriva.” Anche così si può parlare di desiderio di amicizia tra i popoli.

Speriamo che mossi anche voi da curiosità abbiate il desiderio di leggere “Le fate non ballano più come sorelle”, perchè come scrisse Catone “Non smettere di imparare: sia tua cura accrescere ciò che sai”.

Serenella Dorigo

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