Gli eredi della Shoah: a Trieste una Pietra d’inciampo per Alessandro Revere

Trieste – In occasione del Giorno della Memoria, che ricorre il 27 gennaio, pubblichiamo per intero il messaggio letto da Ambra Cusin durante la posa della “Pietra d’inciampo” (“Stolperstein”) dedicata al suo prozio Alessandro Revere, svoltasi lo scorso mercoledì 18 gennaio in via Zovenzoni a Trieste.

Le Pietre d’inciampo sono un progetto monumentale europeo per tenere viva la Memoria di tutti i deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti che non hanno fatto ritorno alle loro case. (https://www.stolpersteine.eu/en/home/)

Alessandro Revere era figlio di Lina Steindler e di Luciano Revere. Uno dei suoi fratelli, Adolfo, era il padre della mamma (Marcella Revere) di Ambra. La famiglia Revere è quella del poeta Giuseppe Revere.

Ambra Cusin il 10 gennaio 2022 aveva deposto una Stolperstein per sua bisnonna materna, Lina Steindler assassinata ad Auschwitz il 12 gennaio 1944 dopo un viaggio di sei giorni in treno da Trieste.

Il prossimo anno ha già in progetto di porre due pietre. Una per Giuseppe (Pino) Steindler, fratello di Lina, bisnonna di Ambra, zio del nonno Adolfo; un’altra per sua moglie, Rachele Michelstaedter (zia acquisita del nonno) prozii di sua madre, entrambi deportati e assassinati ad Auschwitz l’11 dicembre 1943.

“Ho il dovere morale e civile di lasciare un ricordo concreto di queste persone – ci ha detto Ambra Cusin – miei familiari, che sono ‘in polvere qui nel vento’ come dice la canzone degli Equipe 84 ‘Auschwitz’*”.

La storia

“Per me era solo un nome e un ruolo: zio Sandro, fratello di mio nonno Adolfo, zio della mia mamma.

Anzi era “povero zio Sandro”, povero perché venuto a mancare così giovane e così tragicamente. Altro di lui non so ma guardo una sua foto, l’unica, che mia sorella ha recuperato nel suo archivio fotografico.

Era molto simile a mio nonno, ma era più giovane. Nella foto ha 36 anni. La foto è scattata a luglio del 1928.

Qualcosa di più riesco a scoprire sul libro della Memoria di Liliana Picciotto: questo tremendo elenco di nomi e date che a solo sfogliarlo fa venire i brividi.

A pagina 533 c’è il suo nome: nato a Trieste l’1 febbraio 1892, figlio di Luciano e Steindler Lina, quella bisnonna per cui ponemmo una pietra d’inciampo lo scorso anno in via Battisti 26.

Era coniugato con Anita Boschini, di cui non so assolutamente nulla. All’epoca presumo fosse viva. Viva al punto di sapere, capire che da quell’arresto, avvenuto il 29 dicembre 1943, zio Sandro non avrebbe più fatto ritorno.

Non erano anziani, lui aveva 51 anni. Dal matrimonio era nata una figlia, Lina, morta precocemente a 15 anni nel 1945. Anita ha così perso il marito, tragicamente, l’uomo che, immagino, amava e stimava e poco tempo dopo la giovane figlia.

Anche lui, come già era avvenuto per la madre più o meno negli stessi giorni, era stato detenuto nel carcere del Coroneo, con i ladri e gli assassini…, senza aver fatto, peraltro, nulla di veramente colpevole. Certo era ebreo e questa, all’epoca, era una grave colpa. Una colpa che meritava il carcere e la pena di morte!

Ad un certo punto, dal Coroneo viene trasferito al campo di raccolta a Bolzano (probabilmente il 18 ottobre) e dopo 11 mesi dall’arresto, il 24 ottobre 1944, viene deportato ad Auschwitz. La sua matricola risulta aver avuto il numero 199879. Viene caricato sul convoglio 18: il primo convoglio di ebrei a partire dal campo poliziesco di raccolta e transito da Bolzano – Gries, attivato dopo la chiusura di Fossoli avvenuta il primo agosto 1944.

“Con questo trasporto” scrive la Picciotto “partì anche un gruppo di ebrei precedentemente detenuti nel carcere del Coroneo a Trieste e che, per la loro qualità di coniugi di matrimonio misto, sembravano dover essere esentati dalla deportazione: le autorità naziste triestine si erano però liberate dal problema, inviandoli appunto a Bolzano il 18 ottobre precedente. La Transport-list non è conservata, tramite la ricerca del Centro Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), sono stati identificati 133 ebrei tra i quali 17 sono reduci. Vengono riportati dei numeri di matricola che secondo l’archivio del Museo di Aushwitz sono quelli delle persone che all’arrivo non sono state mandate a morte”. Mio zio rientra tra quei numeri…

Di lui però non si è saputo più nulla. Non risulta fra gli assassinati. Forse è morto di stenti, forse ha tentato di fuggire. Dal database del CDEC risulta che sia morto nel campo… Il libro della Picciotto afferma come sia deceduto in luogo ignoto e data ignota.

Mia nonna, sua cognata, mi raccontava che qualcuno lo aveva visto ad Auschwitz molto deperito, ovviamente. Ma poi più nulla. Se è tremendo sapere che molti sono finiti nelle camere a gas e poi bruciati, cremati, venire a conoscenza che di lui non si è saputo più nulla mi pare altrettanto tremendo. E comunque anche per zio Sandro non esiste nessuna tomba su cui deporre un sassolino, una preghiera, qualcuno magari un fiore.

Per questo oggi come familiari abbiamo voluto lasciare questa pietra d’inciampo, questa stolperstein, questo piccolo, microscopico segno. Proprio per far inciampare lo sguardo di chi passa, per disturbare il quieto grigiore dell’asfalto. Per essere segno di rottura con l’uniformità e turbare la memoria affinché resti sempre vigile e attenta in questo nostro tempo dove gli orrori non solo non sembrano avere mai fine, ma appaiono in piena recrudescenza.

Troppo spesso ci sentiamo più potenti dell’Eterno nella nostra capacità di fare il male, riusciamo a sconfiggere il desiderio di bene e di pace che l’Altissimo vorrebbe ogni giorno donarci. Siamo diventati così superbi da credere che il Signore sia ormai incapace di fermarci nella nostra capacità di odiare e di distruggere.

Con questa pietra chiederei a ogni essere umano, donna o uomo che sia, di rinunciare a questo fallimentare sentimento di grandezza e onnipotenza per ritrovare la serenità di una vita condivisa nella solidarietà e nella collaborazione.

Grazie al Rabbino, grazie alla Comunità ebraica di Trieste, all’artista Gunter Demnig e a chi organizza questo evento, ma soprattutto grazie al Signore per il dono della consapevolezza di questa nostra meravigliosa impotente fragilità.

Così si dice nel Salmo 85:

“…la begninità e la verità si sono incontrate,
la giustizia e la pace si sono baciate.
La verità germoglia dalla terra,
e la giustizia riguarda dal cielo.” 
(Salmo 85, traduzione Luzzi)

*La canzone degli Equipe 84

Auschwitz (1966)

Son morto
che ero bambino,
son morto
con altri cento
passato
per un camino
ed ora
sono nel vento.
Ad Auschwitz
c’era la neve
e il fumo
saliva lento,
nei campi
tante persone
che ora
sono nel vento.
Nel vento
tante persone,
ma un solo
grande silenzio
è strano
non ho imparato
a sorridere
qui nel vento.
No,
io non credo
che l’uomo
potrà imparare
a vivere
senza ammazzare
e che il vento mai
si poserà.
Ancora
tuona il cannone,
ancora
non è contenta
di sangue
la belva umana
e ancora
ci porta il vento.
Ancora
tuona il cannone,
ancora
non è contento
saremo
sempre a milioni
in polvere
qui nel vento.

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