La trattativa senza fine (Ma l’Aran detesta gli insegnanti?)

Trieste – Non si capisce se l’indicazione di chiudere presto il contratto della scuola sia una precisa volontà del ministro della funzione pubblica o semplicemente un suo pio augurio.

L’augurio di chiudere una vertenza infinita che ogni giorno vede, da una parte  il rilancio di nuove proposte dalla postazione dell’Aran, (l’agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni nelle contrattazioni nazionali) e dall’altro l’allibito e incredulo atteggiamento del popolo degli insegnanti e dei rappresentanti sindacali che cercano di salvare il salvabile, compreso il rimanere a disposizione del governo la vigilia di Natale.

Ogni giorno, come mai per nessun altro comparto, si rincorrono ipotesi tra le più varie, spesso allarmanti o esagerate. Talora sono interpretazioni di voci di corridoio che mettono in ansia quel milione (circa) di lavoratori della scuola. Che rappresentano un serbatoio di voti non indifferente.

Elemento da non sottovalutare a ridosso delle elezioni politiche. Tant’è che quasi tutti gli schieramenti politici promettono, tra le tante riforme, l’abolizione della cosiddetta “buona scuola”.

Il mondo della scuola, infatti, è già stato provato dalla legge 107/2015 che ha provocato proteste mai sopite. La rete è piena di impegni a non rinnovare le tessere dei sindacati che si sono dimostrati troppo inclini ai desideri del passato governo.

A questi si sommano le accese promesse a non votare più PD. E, d’altro canto, Matteo Renzi, e qualcuno dei suoi, ha già tentato di rimediare: facendo pubblica ammenda o assicurando che le cose cambieranno con la prossima legislatura.

Ma di fronte una situazione così delicata, non si capisce quale sia l’indirizzo del governo. Quale strategia stia perseguendo nel rimandare la definizione dei punti contrattuali. Perché al momento sembra che la volontà sia quella di scontentare uno tra i più vasti e popoloso settori della pubblica amministrazione.

Infatti sembra che la classe docente italiana, oggetto di attestazioni di stima, portatrice di valori etici e culturali, indispensabile categoria guida nell’educazione e nella pedagogia, alla fine possa essere licenziata con qualcosa che assomiglia a una bonaria pacca sulla spalla.

Tutte le manifestazioni di calorosa simpatia e le testimonianze di indispensabile sostegno nell’educazione alla cittadinanza consapevole che la stampa tributa alle maestre italiane si dissolvono davanti alle sentenze  tribunalizie o attorno al freddo tavolo della contrattazione.

Gli ultimi allarmi dicono che i soldi per recuperare il potere d’acquisto non ci sono. Che alla fine l’aumento sarà minore che nel resto della pubblica amministrazione.

I “ministeriali” sono stati soddisfatti. E la sanità e le autonomie locali non producono tutto questo clamore, né generano l’attesa di cattive notizie.

E invece, per la scuola, giù una serie di inasprimenti e peggioramenti di orario, aumento di impegni e aggravamenti disciplinari, tanto che non si capisce se si tratti di effettiva stretta economica e normativa, oppure del solito vecchio trucco dello intimidire tanto per concedere poco.

Sia pur vero che la pubblica opinione è stata per anni pervasa da notizie e convincimenti sullo scarso impegno orario degli insegnanti e sui sempre più esagerati tre mesi di ferie. Ma anche così non si comprende l’accanimento che governo e Aran dimostrano nell’esasperare la categoria.

Viene da credere che all’Aran abbiano dei motivi di rancore personale. Come del resto tutta quella pubblica opinione che ritiene gli insegnanti indegni di un trattamento in linea con gli standard economici europei (altro argomento su cui fioriscono mitologie sfavorevoli agli insegnanti italiani).

Se così fosse, si capirebbe come mai le ultime notizie accreditate sostengono che l’Aran ha sciorinato una serie di proposte che i sindacati definiscono irricevibili:

  1. un aumento dell’orario di lavoro dei docenti che arriverà fino a 80 ore all’anno.
  2. I dirigenti decideranno come impegnare i docenti in queste ore aggiuntive che saranno retribuite.
  3. L’inserimento obbligatorio e non retribuito del tutoraggio per l’alternanza scuola lavoro.
  4. Potere ai dirigenti nel sanzionare i docenti che non siano in linea con la politica manageriale o, addirittura, di sospenderli fino a dieci giorni, in contrasto con la legge 297/94.
  5. Blocco triennale della mobilità territoriale a partire dal 2019/2020.
  6. Aggiornamento obbligatorio da svolgere al di fuori dell’orario di servizio, non si sa se retribuito oppure no.
  7. Per le ore aggiuntive che dovrebbero essere retribuite, l’Aran dimostra la volontà di non concedere aumenti adeguati diminuendo ancora di più il già scarso potere d’acquisto degli stipendi della scuola.

Questo è, ovviamente, un elenco indicativo perché il listino delle sorprese – si dice – è destinato a mutare ora per ora, ma non si sa in che senso né fino a quando.

Sembra che il voto non spaventi più di tanto il governo in carica. E questo può essere il segno di due condizioni: o chi governa sa che non ha nulla da guadagnare nell’ingraziarsi il mondo della scuola. Oppure sa che i docenti sono capaci di sopportare qualunque nequizia.

Il tavolo negoziale, a ogni modo, è ancora aperto. Come la suspense.

[Roberto Calogiuri]

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