Mascherina sì, no, forse. Dove fallisce l’educazione arriva l’influencer

Trieste – In questa grande allegoria della nostra società, che è il Covid-19 – come per la peste di Atene e per la peste dei Promessi Sposi e in genere tutte le epidemie- non può sfuggire che la persona tra le più rappresentative della repubblica italiana, di fronte a una situazione che diviene di giorno in giorno più drammatica, chieda aiuto a un influencer. Anzi: a una coppia di influencer, e di quelli con la i maiuscola.

Considerato che ormai si sprecano le constatazioni che tutto è cambiato e che nulla sarà come prima, c’è da aggiungere ancora qualcosa al generale stravolgimento di usi e costumi. Ancora non si sa se ne usciremo peggiori o migliori. Ma qualche dato di fatto si può osservare.

A esempio l’etica della mascherina. Chi, quando, dove, come e perché portarla? (Sembra la regola giornalistica delle 5 W).

Sarebbe molto semplice rispondere a queste domande: la portino tutti, la portino sempre. Per evitare sanzioni. Per evitare il contagio. E invece esistono licenze ed eccezioni personali e pseudo politiche, obiezioni di coscienza, interpretazioni dei DPCM, negazionismi, distrazioni eccetera.

La si indossi sempre e in tutti i luoghi in cui si è assieme ad altre persone e si rischia il contagio. Sarebbe semplice. Ma non a tutti piace, non tutti gradiscono quello che sembra l’imposizione di un bavaglio. Per certi addirittura una museruola! Per altri, invece, uno strumento per evitare le conseguenze di un contagio che vanno dal raffreddore alla morte.

Eppure, ancora c’è chi obietta.

Non è il caso di entrare nel merito clinico dell’uso della mascherina. Semmai in quello didattico educativo, perché a raccomandarne l’uso si è incomodata nientemeno che la coppia Ferragni Fedez. E se e vero che l’epidemia offre lo spunto per meditare sul cambiamento dei costumi sociali, si impone qualche rapida considerazione.

Il premier Conte nota che gli adolescenti sono i più refrattari all’uso della mascherina. E, per la verità, basta guardarsi attorno: la movida offre prove inequivocabili. Allora si pensa al luogo in cui si insegnano le regole, quel luogo che deve rimanere aperto se non si vuole evitare il regresso civile e culturale: la scuola. Ma nelle scuole, grazie all’autonomia, alcuni presidi la impongono, altri la raccomandano, altri tacciono (per ora). Alcuni studenti la indossano spontaneamente anche durante le ore di lezione, altri ricorrono ai cavilli di un dpcm poco chiaro.

In una situazione così varia e priva di un principio omogeneo di autorità (termine che non va più di moda), i numeri sui contagi nelle scuole si rincorrono senza una vera attendibilità.

A esempio, un quotidiano sostiene che la ministra dell’istruzione non può avere un monitoraggio certo ed esatto sul numero dei contagi nelle scuole perché tale monitoraggio non è frutto di un’indagine sistematica ed estesa, ma è il risultato dei questionari che i dirigenti scolastici inviano al ministero senza che si sappia quanti siano e da quali zone e scuole provengano le risposte.

E allora cosa si fa? Si ricorre all’influencer. Si pensa che la popolazione degli adolescenti sia più influenzabile che educabile. Si affianca alla formazione profonda delle coscienze lo stratagemma superficiale dell’ imitazione. Si rinuncia a insistere sulla consapevolezza del bene reciproco per ricorrere alla moda conformista dei social: se lo dice Fedez, lo faranno anche loro. Se lo raccomanda Ferragni, indosseranno la mascherina senza fiatare. Anche mentre chiacchierano attorno a un aperitivo, anche mentre animano la movida. Proviamole tutte, avrà pensato l’onorevole Conte, chissà che non attacchi… Chissà che non funzioni dove evidentemente hanno fallito l’educazione (anche civica), i corsi di cittadinanza consapevole, le raccomandazioni alla responsabilità e al rispetto individuale e collettivo.

Sarà che il fine giustifica i mezzi, però strada facendo si rinforza il principio che non esiste influencer senza una società facilmente influenzabile e che, pur di fronte all’emergenza, si è dimostrato che l’educazione – scolastica e familiare – non è capace di garantire l’estensione consapevole di una norma del vivere sociale e della reciprocità del rispetto.

Chissà se Ferragni e Fedez ci riusciranno. È da vedere. Intanto godiamoci un’altra lezione del Covid-19 sul mondo in cui viviamo.

Roberto Calogiuri

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