“Pietre d’inciampo” per ricordare le famiglie deportate. A Trieste in vista della Giornata della Memoria

Trieste – In vista della celebrazione della prossima Giornata della Memoria, che ricorre ogni 27 gennaio, la Comunità ebraica ha posato ieri, 23 gennaio, le prime Pietre d’inciampo (Stolpersteine) dedicate a vittime della deportazione nazifascista.

L’operazione consiste nell’incorporare nel selciato stradale o sui marciapiedi, davanti alle ultime residenze delle vittime di deportazione, dei piccoli blocchetti in pietra ricoperti da una piastra in ottone, con incise sopra le generalità delle singole persone.

In tutta Europa, a partire dal 1995, sono state installate 60.000 pietre, di cui oltre 500 in Italia.

Alla cerimonia erano presenti l’artista tedesco ideatore dell’iniziativa, Gunter Demnig , il Sindaco di Trieste con l’assessore comunale alla Cultura, Autorità locali, la presidente ed altri rappresentanti della Regione Friuli Veneiza Giulia, il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Trieste, Alexander Meloni con il presidente Alessandro Salonichio e l’assessore alla Cultura della Comunità, Mauro Tabor, accanto a numerosi intervenuti. I bambini della scuola ebraica hanno intonato un canto a ricordo dei loro coetanei deportati.

Il Sindaco ha sottolineato l’importanza di questa prima pietra, accanto alla Sinagoga, in un momento in cui il mondo sta andando come non si vorrebbe, affinchè si trasmetta ai giovani il significato della memoria in una città che deve molto alla Comunità Ebraica.

Ringraziando tutti i presenti, il Rabbino Meloni ha affermato che ogni pietra intende restituire individualità a chi si voleva ridurre soltanto a numero. L’espressione “inciampo” non deve dunque essere intesa in senso fisico, ma metaforico: è un inciampo visivo e mentale che invita alla riflessione chi passa vicino o si imbatte, anche casualmente, nell’opera.

Ha rilevato quanto sia fondamentale l’impegno costante per far sì che la memoria, nell’ambito delle celebrazioni della Giornata del 27 gennaio, sia parte del patrimonio storico della società perchè non si ripetano gli stessi errori riconoscendo tutti le proprie colpe. Un lavoro che non è finito e che ogni pietra d’inciampo che incontreremo ci obbligherà a ricordare. Senza memoria non c’è futuro.

Soddisfazione è stata espressa anche dal presidente Salonichio che ha evidenziato quanto sia di grande rilievo per la comunità questa iniziativa, che è stata accolta con entusiasmo dal’Amministrazione comunale e da tutti coloro che hanno collaborato, un segno tangibile per chi è stato scacciato via dalle proprie case e non vi ha fatto più ritorno.

In una città quale Trieste, città multietnica e multireligiosa, che della convivenza ha fatto la sua storia anche con il contributo della Comunità Ebraica.

L’assessore Tabor ha ricordato Carlo Morpurgo e il significato della pietra d’inciampo a lui dedicata, che vuole ricordare soprattutto quanto sia stato meraviglioso il suo percorso di vita, con il suo instancabile impegno nel salvare tantissime persone dalla deportazione, fino all’estremo sacrificio, alla morte, in una società in cui mancano principi e ideali. È di questi esempi che hanno bisogno oggi i giovani.

Quattro i siti in città dove sono state installate le prime pietre triestine, grazie alla collaborazione e al sostegno del Comune di Trieste e all’autorizzazione della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia.

Via San Francesco 19 : Luogo di lavoro di Carlo Morpurgo (Trieste, 1890 – Auschwitz, 1944).

Piazza Giotti 1 : Abitazione della famiglia Berger/Montanari: Eugenio detto Giacobbe Berger (Pecs, 1867 – Auschwitz, data ignota), la moglie, Adele nata Rumpler (Budisov, 1879 – Auschwitz, data ignota), il nipotino Alberto Montanari (Trieste, 1936 – Auschwitz, data ignota).

Piazza della Borsa 4 : Abitazione della famiglia Marcheria: Ernesto (Trieste, 1898 – Auschwitz, 1944), la moglie Anna nata Nacson (Corfù, 1903 – Auschwitz, 1943), i figli Giacomo (Trieste, 1926 – liberato a Dachau), Raffaele (Trieste, 1927- Auschwitz data ignota), Ida (Trieste, 1929 – liberata a Ravensbrück) e Stella (Trieste, 1930 – liberata a Ravensbrück).

Piazza Cavana 3 : Abitazione della famiglia Vivante: la madre Sarina nata Salonicchio (Corfù, 1891 – Bergen-Belsen, 1945) e i figli Giulia (Trieste, 1916 – Bergen-Belsen, 1945), Ester (Trieste, 1918 – Bergen-Belsen, 1945), Enrichetta (Trieste, 1921 – Bergen-Belsen, 1945), Moise (Trieste, 1925 – Bergen-Belsen, 1945) e Diamantina (Trieste, 1928 – liberata a Bergen-Belsen).

La cerimonia, che ha avuto inizio in via San Francesco è poi proseguita in Piazza Giotti e Piazza della Borsa e si è conclusa in Piazza Cavana, alla presenza dell’unica sopravvissuta tra le persone ricordate con le pietre d’inciampo: Diamantina Vivante Salonichio.

In Piazza della Borsa, alcuni allievi e allieve del Liceo Petrarca di Trieste hanno letto brani delle testimonianze di Ida e Giacomo Marcheria.

“Un’opera piccola per dimensioni ma enorme per il significato che racchiude, questa pietra in memoria di un eroe, un uomo giusto” ha detto la presidente della Regione Fvg Serracchiani riferendosi a Carlo Nathan Morpurgo, cui è dedicata la prima pietra, dinanzi alla Sinagoga Maggiore di Trieste.

Serracchiani ha ricordato la figura di Nathan: “non faremo mai abbastanza per coltivare la memoria di quest’uomo giusto. Egli fu un vero eroe: mentre intorno si scatenavano le forze del male e tutti tentavano di salvarsi, rimase al suo posto saldo come un cedro del Libano, per salvare gli altri. Anche nel momento più buio seppe nutrire la speranza nel ritorno di tempi migliori: aver sottratto i rotoli della Torah alla devastazione nazista è un atto di fede e di pietà, carico di una potenza simbolica che si spande oltre il recinto spirituale della Comunità ebraica e che ci tocca tutti”.

“Dalla Comunità ebraica di Trieste – ha continuato la presidente – ci viene l’esempio storico di un felice rapporto, di una pacifica commistione e di un reciproco arricchimento”. Gli esponenti di questa comunità “erano a loro agio in un orizzonte internazionale, non trascurarono la crescita e il benessere della città e dei suoi abitanti. L’edificazione di questa Sinagoga Maggiore nel cuore della città aveva rappresentato il culmine dell’integrazione nell’affermazione dell’identità”.

Serracchiani ha quindi commemorato “i mille triestini che furono strappati dalle loro case per essere portati ai Lager e che non fecero mai ritorno sono l’esito di un piano criminale studiato, deliberato e freddamente portato a termine”.

Per questo, ha sottolineato “quando noi oggi diciamo “mai più” dobbiamo renderci conto di quanto grande sia la responsabilità che pesa su quelle parole. Significa che ognuno di noi è chiamato a rispondere in prima persona, affinché il “no” al razzismo, all’intolleranza e alla violenza sia saldato alla volontà e alla determinazione di essere argine. Perché ci saranno sempre vittime, se permetteremo che ci siano carnefici, se non fermeremo sul nascere ogni pensiero che giustifica l’odio, che giudica l’uomo in base a ciò è, non a quello che fa”.

Serracchiani ha fatto anche riferimento all’attualità, esprimendo “condanna senza alibi per chi, occultandosi sotto il manto di un concerto, proprio in queste ore si prepara a celebrare l’Olocausto. Complici saremo, se lasceremo che teorie negazioniste o riduzioniste possano rendere minimamente “accettabile” l’orrore della Shoah. E ugualmente pericolosa è la distorsione ideologica che assimila l’ebraismo al sionismo, insinuando il sospetto di una doppia fedeltà, sovrapponendo indebitamente religione e politica”.

Chiarita la gravità del “tradimento delle leggi razziali”, la presidente si è augurata che la pietra d’inciampo possa essere “veramente un ostacolo alla distrazione, una diga alla superficiale omologazione che tutto assimila, un farmaco contro il tempo che consuma le generazioni e corrode la memoria”.

“Ogni nome di deportato che noi salviamo dall’oblio – ha spiegato – è una nuova vittoria contro la morte e contro chi volle cancellare i nomi, riducendo uomini, donne e bambini a un numero tatuato sul braccio, a un nulla”.

“La pietra di Carlo Morpurgo, e le altre che verranno posate a Trieste, ci guardano e parlano a noi. E a noi, che ci sforziamo di essere gli eredi della memoria – ha concluso Serracchiani – rimane una sola parola: Shalom!”.

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