Cristina Bonadei, Federica Marzi e Corrado Premuda hanno chiuso l’ultima giornata di “Barcolana, un mare di racconti”. Breve conversazione con Cristina Bonadei

Trieste – Cristina Bonadei, Federica Marzi e Corrado Premuda hanno chiuso l’ultima giornata della rassegna letteraria: “Barcolana, un mare di racconti”. Nella sala Lutazzi del Magazzino 26 del Porto Vecchio, ieri sabato 9 ottobre, i tre autori triestini hanno presentato i loro libri: “Portolano. Breviario di parole naviganti” di Cristina Bonadei, “La mia casa altrove” della scrittrice di Federica Marzi, “Trieste senza bora” di Corrado Premuda, conversando di letteratura e di scrittura nelle sue varie declinazioni. A moderarne l’incontro Mezzena Lona, giornalista curatore e ideatore  della rassegna.

Abbiamo scelto per questa giornata finale di “Barcolana un mare di racconti”, in concomitanza con la regata più famosa al mondo, giunta alla sua 53 edizione, di dialogare con l’autrice e giornalista Cristina Bonadei del suo “Portolano.

Per chi non lo sapesse il Portolano è un manuale per la navigazione costiera, portuale e o aeronautica basato sull’esperienza e l’osservazione, contenente informazioni relative ad una delimitata regione. Il “Portolano. Breviario di parole naviganti”,  ci sembrava calzare a pennello, una sorta di manuale per navigare a vista nel mare dell’esistenza.

Leggere il suo “Portolano” commuove, coinvolge, sradica pensieri circolari, irrora a tratti sangue a tratti acqua, ti prende e ti porta via, in un altrove abitato da parole che si innestano nel terreno come il palo di una croce, parole che salvano, parole che tatuano un maquillage etico mai scontato, parole che si dilatano e si restringono fino a diventare un “bolo esistenziale”, un reticolato promettente di aforismi, ossimori pensieri e riflessioni. A ricordarcelo bene è lei per prima “Le risposte arrivano, e se ne vanno, perchè si procede di bolina (controvento), spesso”.  Ho come la percezione di una Cristina del prima ed una Cristina del dopo. Chiediamo a lei ad aiutaci a capire meglio.

Non servono presentazioni per i due nomi che hanno contribuito alla prefazione del suo “Portolano. Breviario di parole naviganti”.

Claudio Magris scrive “…questo libro fluttuante e rigoroso come uno spartito, come la risacca nella spiaggia”;  “Zibaldone di pensieri, riflessioni, frammenti di stream of consciousness, motti di spirito, autodelazioni…” evidenzia Moni Ovadia.   Una sorta di Breviario ontologico, un orienteering esistenziale, una bussola emozionale in cui esce una Cristina del prima e del dopo. Cosa ci dici.

No, sei realista. Del resto in questo grande esperimento antropologico che è la vita, ne esistono tanti altri. Come Facebook, una sorta di diario di bordo planetario che ognuno decide di abitare come meglio crede. La traccia esistenziale è il perimetro in cui tutti siamo immersi, nessuno escluso.

Prediligi l “Attraversare è uno dei miei verbi preferiti. Perchè si porta attaccata la parola speranza. La sponda che vedi anche se pensi di aver perso la capacità di poter vedere. Il futuro che silenzia il passato”. C’è mai stato un momento nella tua vita in cui il futuro è stato silenziato dal passato?

Mi piacerebbe avere la lucidità per potertene dire uno al posto di un altro. Non lo so, perchè certamente esiste, eh, ma sarà nascosto in un luogo. Nel Talmud si dice: non guardarti indietro. Quello che hai vissuto devi lasciartelo alle spalle. Ecco, se non lo fai rischi l’immobilismo. Un po’ come correre una maratona su un tapis roulant.

Se tu “Fossi un tessuto sarei il lino” scrivi. Cosa ti ha stropicciato di più nella vita?

Ah, ne ho talmente tanti di plissè, che alla fine diventano un tutt’ uno. Siamo tutti così tanto stropicciati, ed è questo che ci rende umani. Al di là dei casi della vita, e non vorrei ammorbare nessuno con i miei, mi piace pensare che non bisogna passarci un ferro da stiro su quelle pieghe/piaghe, ma lasciarle lì. E abbracciarle. Uno sforzo titanico ma ne vale la pena.

“Mi piace piacere a chi non mi piace.” L’arte dell’ostinarsi e del resistere, appartiene a chi ha fatto scorta di resilienza. Cosa vorresti dire a chi vuole mollare?

La parola resilienza oramai è come lo zenzero, poteri taumaturgici, un balsamo per ogni ferita. Il linguaggio non è immune dalle mode. Ma esiste da sempre, l’arte di non mollare. O meglio. Lasciare andare è un esercizio quotidiano, come quello che dicevamo prima, riguardo al passato. Viaggiare leggeri bisogna, senza scomodare Calvino. Se vai per le montagne con uno zaino troppo pesante, ti dimentichi dei tuoi passi e la salita diventa un Golgota. Sapere cosa non mollare, è la posta in gioco. Sospesi tra fiducia e speranza.

Sei madre e “Le madri sono funambole. Quando sali sul filo non puoi pensare di cadere, e curiosamente non vedi dove finisce”. Madri che sostengono, madri che lasciano andare.  Tu che madre ti senti…di essere?

Sono i miei figli ad avermi partorita. Mica basta essere riproduttivi per essere genitori. Il sangue conta niente, è la cura la vera scommessa. Sono una madre coraggiosa, ed io so il perchè, una che non molla mai, che cerca di far comprendere ai suoi figli che siamo fallaci, imperfetti e ci vuole pazienza. Cerco di consegnare loro buoni ricordi, e so che quello che si ricorderanno di me sono dettagli a me invisibili. E’ per questo che non ci si spoglia mai del vestito di genitore, siamo sempre sotto il loro sguardo.

Concordo con te che la “Grandezza della semplicità è tonda. Senza spigoli”, vince chi lascia andare, vince chi molla?

Andremo ad alzare simpatiche zolle tutti quanti. Cosa vuol dire vincere se la vita è a tempo determinato? Scadiamo come yogurt.  Essere semplici senza semplificare troppo, abitare la meraviglia e la solidarietà come pratiche del giorno. Altro non c’è.

Cos’è il tuo Breviario di parole Naviganti per chi non ti conosce?

Un tascabile per la vita. Senza pretese. Un album di fotografie a parole. Del resto anche le immagini che ci uso, sono mie. Geografie naturali che si sovrappongono a quelle dell’anima. E anche se tutto può sembrare una profanazione della propria intimità, restiamo sempre sconosciuti a noi stessi. Per questo mi sveglio con curiosità. Chissà cosa sarò, oggi.

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