Il riscaldamento globale nel Cansiglio cambia gli equilibri del bosco. Fotogallery

Polcenigo (Pn) – A saperlo osservare, il bosco custodisce una miriade di storie, vicine e lontane nel tempo.

Quest’anno, l’abbondante nevicata tardiva di maggio ha provocato, in Cansiglio, lo schianto di alcuni alberi. I primi si incontrano lungo la strada bianca verso l’ex caserma forestale Candaglia, nella porzione friulana dell’antico bosco da remi della Serenissima.

La foresta demaniale si estende complessivamente su una superficie di 6.570 ettari, per lo più in Veneto, con 1.547 ettari in Friuli Venezia Giulia. All’interno, poi, esistono aree wilderness, cioè riserve integrali, dove gli unici interventi consistono nel tenere liberi i sentieri per il passaggio.

I recenti schianti si sono aggiunti a quelli provocati dalla tempesta Vaia a fine ottobre 2018, che hanno riguardato soprattutto il Veneto. “Non è stato facile trovare un’azienda a cui affidare il prelievo dei tronchi schiantati, perché gran parte delle imprese locali sono al lavoro e inoltre il prezzo di mercato del legno è crollato”, spiegano i forestali regionali.

Spetta ora ai tre operai tuttofare attivi nel Cansiglio friulano, che gestiscono anche una piccola falegnameria, segnalare gli alberi schiantati o a rischio che dovranno essere portati via.

Arrivati nei pressi della ex caserma forestale Candaglia, oggi presa in gestione dalla parrocchia di Conegliano, c’è un’area con un giovane bosco molto fitto, dove a prevalere sono i faggi. Anche qui, a breve, si provvederà a effettuare un taglio selettivo, per ottenere in futuro legname pregiato.

Nel 1958 quest’area fu colpita per intero da schianti e non è mai stata toccata, finora. “Oggi vediamo come la foresta sia costituita da giovani faggi che hanno sopraffatto i salici. Il rimboschimento è avvenuto in modo naturale, ma c’è da dire che all’epoca degli schianti non erano presenti tanti cervi come ora”, dicono i forestali. Sono famosi i cervi del Cansiglio e, nel periodo degli amori, attirano turisti che vengono a sentirne il bramito.

È stato l’uomo a portarli qui, ma negli anni Ottanta sono usciti dal recinto in cui erano stati messi e, non trovando predatori, si sono moltiplicati tanto che loro presenza massiccia crea danni alla foresta. Gli animali infatti si nutrono dei germogli dei giovani alberi e non ne permettono la crescita. Il recente ritorno del lupo in Cansiglio, però, potrebbe aiutare a contenere la popolazione dei cervi. Il solo fatto di avvertire la presenza del lupo funziona da deterrente, rendendo gli ungulati meno tranquilli di fare piazza pulita dei germogli.

Per valutare l’impatto dell’azione dei cervi in Cansiglio, nel 2014 è stato realizzato un rimboschimento artificiale in parte recintato, in parte no. Oggi si vede chiaramente che le piante, nella parte interdetta alla fauna, crescono rigogliose e spunta anche vegetazione spontanea, mentre fuori dal recinto resta poco del rimboschimento.

Siamo nella conca del Cansiglio, la zona più fredda della foresta per il ristagno dell’aria, popolata per lo più da abeti rossi, ma ai piedi delle conifere da diversi anni stanno arrivando i faggi. A causa del cambiamento climatico, infatti, anche le piante si spostano e trovano spazi nuovi in cui crescere. Il surriscaldamento globale, gradualmente, modifica la composizione del bosco.

Non lontano dal rimboschimento sperimentale, c’è una curiosa montagnetta fatta di pietre, ormai ricoperta anch’essa di alberi, con radici che letteralmente l’abbracciano, per raggiungere la terra e affondare in profondità. Questo era uno dei due estremi del “motore alpino”, in funzione tra il 1836 e il 1841, ideato dal pordenonese Andrea Galvani, imprenditore, studioso e inventore.

Il sistema serviva a trasportare i tronchi in salita, dalla conca del Cansiglio fino alla cima della Ceresera, superando 300 metri di dislivello. Il motore era costituito da due binari in legno paralleli, lunghi circa 700 metri, su cui si muovevano due carrelli, collegati con un’unica fune. Il carrello alla sommità del monte veniva riempito di pietre, mentre quello a valle di tronchi. Acquisito il peso necessario, il carrello a monte veniva fatto scendere a valle e così faceva salire senza fatica il carico di legna. Dalla cima, poi, il legname si portava a valle con la “risina”, una sorta di scivolo fatto di tronchi scortecciati o in pietra. In seguito, veniva trasportato fino a Venezia sulle acque del fiume Livenza.

Questa storia è stata riportata alla luce di recente dal Gruppo Archeologico di Polcenigo, grazie al lavoro del professor Mario Cosmo. E così, passeggiando all’ombra di faggi e abeti centenari, si scopre un altro tassello della lunga relazione tra uomini e boschi.

Foto e testo: Elisa Cozzarini ©

 
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