Manifesti polemici riaprono le ferite della memoria storica della Venezia Giulia

Trieste – Le ferite della memoria storica della Venezia Giulia si sono riaperte per l’iniziativa del gruppo di estrema destra CasaPound, che ha affisso dei manifesti polemici alla vigilia della cerimonia per il 78° anniversario dell’esecuzione di cinque esponenti della resistenza slovena contro il regime fascista.

Pinko Tomazic, Viktor Bobek, Ivan Ivancic, Simon Kos e Ivan Vadnal furono fucilati il 15 dicembre 1941 su sentenza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato dopo un processo che vide imputati 60 antifascisti “di varia natura: comunisti, nazionalisti sloveni, terroristi, cattolici, demo-liberali” (così nella sentenza del 14/12/1941).

Il processo si concluse con 9 condanne a morte, di cui 5 eseguite il 15 dicembre 1941 presso il poligono di Opicina.

Nei manifesti firmati dal movimento di estrema destra i 5 fucilati vengono definiti “terroristi, né vittime, né martiri”.

La scoperta delle affissioni è stata fatta dagli agenti della Digos di Trieste nel corso di un controllo effettuato alla vigilia della cerimonia di commemorazione.

Così la senatrice del Pd Tatjana Rojc “Dopo tutto il lavoro che si è fatto in questi decenni per la convivenza pacifica e per il rispetto delle memorie, i neofascisti di CasaPound vogliono riportarci indietro agli anni bui dell’odio. È una provocazione che non accettiamo, in primo luogo perché la nostra Costituzione si fonda sui valori della Resistenza, nata dall’antifascismo. E non bisogna cadere nelle basse speculazioni di chi vorrebbe che continuiamo a fissare le tragedie del confine orientale, quasi fossimo ibernati nelle contrapposizioni ideologiche del 900”.

La snazionalizzazione degli slavi giuliani fu uno dei cavalli di battaglia del regime fascista: questa fu attuata con la “distruzione della loro classe dirigente e riduzione numerica del loro gruppo etnico; liquidazione di quanto ancora sussisteva delle loro organizzazioni economiche e culturali; soppressione della scuola slava e della stampa in lin­gua slava; italianizzazione dei cognomi; controllo o allontanamento del clero slavo o slavofilo; reazione violenta ad ogni resistenza o tentativo di elusione di queste misure; potenziamento, infine, delle comunità italiane, anche a mezzo di nuovi insediamenti” (Elio Apih, “La politica fascista di snazionalizzazione nella Venezia Giulia”).

Le cinque vittime del regime avevano aderito alle idee comuniste e combattevano apertamente la politica fascista di repressione nei confronti della comunità slava.

Questa la versione di CasaPound: “Quando, circa tre settimane fa, il Comune di Trieste ha deciso di affidare la gestione di questo spazio all’Associazione nazionale Partigiani d’Italia di Trieste abbiamo espresso tutte le nostre perplessità ricordando che chi ogni anno viene commemorato a Opicina non è né una vittima né un martire ma solo un terrorista”, spiega in una nota Francesco Clun, responsabile provinciale del movimento di estrema destra.

Da parte sua, la senatrice Rojc ha ricordato che “il Tribunale speciale per la difesa dello Stato era costituito non da giudici ma da fascisti in camicia nera e la condanna a morte degli sloveni nel 1941 è seguita a un processo molto sommario”.

“Guardiamo avanti – ha concluso l’on. Rojc – non indietro, il futuro è nel rispetto, nello spirito europeo, non nelle divisioni perpetue”.

La coordinatrice della componente slovena del Pd, Maja Tenze, ribadisce che “a seguito del ripetersi di provocazioni di questo tipo nella Venezia Giulia, oggi più che mai è necessario ricordare la storia e insegnare ai giovani i valori antifascisti, il rispetto delle istituzioni democratiche e della libertà”.

Informando di una manifestazione che si terrà domenica 15 dicembre alle ore 15:00 al poligono di Opicina sul Carso triestino, luogo della fucilazione, Tenze invita i cittadini alla “massima partecipazione”.

 

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