Referendum sul taglio dei parlamentari: ne parliamo con il deputato Luca Sut (M5S) eletto in FVG

Pordenone – A meno di 2 settimane dal voto il referendum costituzionale passa quasi sotto silenzio sui media. Il 20 ed il 21 settembre infatti si vota per confermare o meno il taglio del numero dei parlamentari, ma il tema appare in secondo piano rispetto ad altre notizie.

In base alla norma di modifica costituzionale approvata dal Parlamento, i deputati – nelle prossime elezioni – passerebbero da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Gli eletti nella circoscrizione Estero passerebbero da 12 a 8.

La riduzione fu approvata lo scorso anno dal Parlamento (in carica allora era il governo Conte I, a maggioranza M5S e Lega Nord), ma senza raggiungere una maggioranza superiore ai 2/3 dei componenti nella seconda deliberazione al Senato, avvenuta l’11 luglio del 2019.

Come da art. 138 della Costituzione, il provvedimento va quindi ratificato con un referendum popolare. Questo il quesito:

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente”Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?»

Dei risvolti sociali e politici del referendum abbiamo parlato con il deputato Luca Sut, del M5S, eletto in Friuli Venezia Giulia nella Circoscrizione di Pordenone. Il M5S – lo ricordiamo – è stato il principale fautore del taglio del numero dei parlamentari.

Qual è la sua impressione sulla scarsa visibilità del referendum?
Solleva un tema importante, riconducibile allo scarso risalto mediatico verso i temi del referendum costituzionale che ormai è alle porte. Ad agosto, l’Agcom ha evidenziato questo gap informativo, esortando gli organi d’informazione a garantire spazi adeguati, nei tempi e nei contenuti, alla riforma del numero dei parlamentari. Esistono regolamenti, come esistono Autorità ed organi parlamentari competenti a vigilare in materia. Ma il problema risiede in un’etica dell’informazione debole, che non sempre assicura una comunicazione politico-elettorale adeguata.

Come spesso avviene, la rete interviene dove i media cosiddetti tradizionali non vogliono arrivare. Il cittadino digitale oggi può costruire il suo consenso attraverso i canali messi a disposizione dai nuovi media, dove però non mancano insidie legate alla diffusione di fake news.

Sui social, ultimamente sta circolando un testo esplicativo che in realtà è riconducibile al referendum del 2016, sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Per cui, l’informazione mendace è sempre in agguato e invitiamo tutti a fare attenzione alle fonti da cui si apprendono le notizie. I social network hanno rivoluzionato il mondo dei media, ma se usati con leggerezza possono concorrere alla disinformazione.

Per la tenuta del governo conta più il referendum o le elezioni regionali?
Guardiamo in primis all’aspetto che più interessa al Paese. Ovvero, alla maggiore stabilità governativa che la riduzione del numero dei parlamentari produrrà in Italia. Detto questo, ridimensionare il numero degli eletti in Parlamento, oltre a essere un caposaldo del nostro programma, è un’istanza sentita e voluta dagli italiani.

Oggi nella cittadinanza prevale una richiesta di razionalizzazione della rappresentanza di deputati e senatori. E i tempi per attuarla sono maturi, alla luce dei profondi mutamenti che sono intervenuti e hanno modificato il rapporto tra eletto ed elettore che, ora, risente dell’esistenza di nuovi livelli istituzionali, oltre che dell’evoluzione tecnologica nelle telecomunicazioni. Nel 2020 è molto più semplice e veloce comunicare con l’eletto, per cui 600 parlamentari sono sufficienti e ci allineano alla media europea. Ovviamente, non ci fermeremo a questa riforma che si inscrive in un quadro di interventi più ampio.

Alcuni esponenti della maggioranza appaiono perplessi sul taglio dei parlamentari. Lo vede come un problema?
Dissentire è legittimo, ma in un contesto di coerenza. Il dibattito non nasce ora, la legge è stata approvata lo scorso anno. Si schierarono per il taglio sia forze di maggioranza che di opposizione. La riforma infatti passò alla Camera con 553 voti a favore, 2 astenuti e 14 contrari, singoli parlamentari in dissenso verso l’orientamento del proprio Gruppo.

Una eventuale indicazione di NO al referendum da parte del Pd, potrà incrinare i rapporti con il Partito Democratico?
Per inclinazione personale e professionale, preferisco discutere e ragionare su elementi concreti. La direzione nazionale del Pd ha approvato il SI alla riduzione del numero dei parlamentari che, tra l’altro, è parte integrante del programma di Governo. L’Esecutivo va avanti e continua a portare avanti gli impegni presi e sottoscritti.

Il dibattito più o meno aspro in politica è fisiologico e ritengo intellettualmente non corretto soffiare di continuo su presunti fuochi di rotture all’interno della maggioranza. Nessuna incrinatura, quindi, né venti di crisi. Ci sono i presupposti per arrivare alla naturale scadenza della Legislatura e raggiungere altri obiettivi programmatici.

Nel peggiore degli scenari: regionali al centrodestra e vittoria del NO al referendum, cosa cambia all’interno del M5S? E nei rapporti col PD?
Mi sembra un quadro un po’ catastrofista. Il SI al referendum è in netto vantaggio e l’esito del voto regionale, soprattutto in alcune regioni, non è scontato.

Le vittorie e le sconfitte portano sempre riflessioni. Ma la valutazione, a mio avviso, dovrebbe essere sempre di merito e il ragionamento politico andrebbe fatto a posteriori. Come si suol dire, si ragiona a bocce ferme. Pronosticare serve più ai media che alla politica, già molto assorbita dalla gestione dei lavori parlamentari. In ogni modo, tranne che in Liguria, non ci presentiamo alle Regionali con il Pd. Per cui, il voto regionale non mi sembra essere una verifica della maggioranza e del Governo.

Sento comunque di risponderle che i risultati elettorali non impatteranno sull’assetto nazionale. Se il Pd perde nei territori che governava, dovrebbe interrogarsi sul perché. Per noi è diverso, in quanto non governiamo nelle Regioni. Per quanto ci riguarda, prima votiamo e poi, dopo il 20 e 21 settembre, avviamo un confronto interno nel MoVimento. Abbiamo cambiato la politica, è il momento di pensare anche al rinnovamento interno. Trarremo sì conclusioni dai risultati elettorali, analizzandoli considerando le caratteristiche dell’attribuzione del consenso a livello locale.

In caso di vittoria dei SI, quali le proposte del M5S sulla legge elettorale?
Rimane l’impegno per un sistema elettorale di tipo proporzionale, in cui sempre abbiamo creduto e su cui c’è convergenza nella maggioranza. Un modello che è frutto di uno studio di merito e non certo di esigenze del momento. Un sistema che prevede l’eliminazione dei collegi uninominali, una soglia di sbarramento al 5% e il diritto di tribuna per le forze politiche minori. Vogliamo che si ritorni alle preferenze e mettiamo fine ai listini bloccati, ridando all’elettore la facoltà di scegliere i propri rappresentanti. Centralità quindi per il cittadino/elettore. E non più accentramento delle scelte decisionali nelle mani delle segreterie di partito.

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