Autopsia della Buona Scuola. Il declino dell’istruzione secondo Busson. A Trieste la presentazione del libro

Trieste – La scuola è morta. È morta quell’istituzione come la conoscevano i nati prima dell’era digitale, ovvero la scuola della conoscenza, delle poesie a memoria, della lavagna fatta di lavagna e non fatta di uno screen a diodi luminosi e sensibili al tatto, del registro di carta, del telefono a gettoni, della tv in bianco e nero etc. etc.

Lorenzo Busson, nel suo libro “Autopsia della buona scuola” (IBN, 12 €, pagg. 205), ne constata la morte. Ma non sta troppo a piangerci sopra. Anzi…

Perché la sua autopsia non ha niente di macabro. L’autopsia ci sta. Perché il decesso è constatato: “La scuola si è trasformata in una fabbrica ed è quindi MORTA come scuola”, scrive l’autore nella prefazione.

Per la precisione, morta come “buona scuola”, il  che equivale ad attribuire il colpo di grazia alla tanto discussa e criticata legge 107/2015,  anche se Busson sottolinea che “da qualche decennio il pensiero critico è stato espulso dalla scuola e dall’università, che si sono trasformate in strutture del tutto simili alle imprese”.

In ogni caso, dell’autopsia, il libro ha l’osservazione fredda, inesorabile e inclemente. Affonda il bisturi nel martoriato corpo docente, lo disseziona, lo analizza assieme agli organi collegiali e a un altro grande protagonista: il corpo studentesco. Ce n’è, ovviamente, anche per i genitori.

Di tutti gli attori, Busson – con l’efficacia di un anatomopatologo – mette in evidenza i tic, le manie, le idiosincrasie, le debolezze, le miserie, i luoghi comuni, attraverso una galleria di stereotipi raccolta  in trent’anni di insegnamento nelle scuole medie superiori, e pronta per diventare la sceneggiatura una sit com.

Come e perché la scuola sia veramente morta, tuttavia, Busson lo dirà di persona alla presentazione del proprio libro, presso la Libreria Lovat di Trieste (V.le XX Settembre, 20), lunedì 19 febbraio alle ore 18.00, interrogato (si fa per dire) dallo scrivente.

Qui si può solo anticipare che il modo in cui questo rito necroscopico è condotto si libra tra la verità grottesca e l’oggettività sarcastica. Insomma: il libro ha il titolo di un saggio, ma è un romanzo comico realistico che del saggio ha il pregio di mostrare la nuda verità.

Una verità che, chi la conosce, non può che condividerla perché è un invito a riflettere su una condizione – quella dell’insegnante – tra le più odiate e disprezzate. E su un’età – quella dello studente – tra le più difficili della vita, ben evidenziata nel filo rosso dei temi che gli studenti propongono all’insegnante di italiano. E poi su un rapporto – quello genitoriale – drammaticamente entrato nelle cronache recenti.

E chi non la conosce, invece, la dovrebbe apprezzare per il fatto che il libro di Busson è un modello che riproduce quel mondo complesso e sconosciuto a chi non lo frequenti ogni giorno. Un modo per mostrare e aiutare a capire come la scuola sia diventata un’altra cosa: il luogo delle competenze, dei PON, dei potenziati, dell’alternanza scuola lavoro, dell’autoimprenditorialità, della burocrazia, del cooperative learning e degli stage, del CLIL, POF, PIRLS, BES e chi più ne ha più ne metta.

L’evento è organizzato con la collaborazione del Circolo del Manifesto “Raffaele Dovenna” di Trieste.

[Roberto Calogiuri]

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